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ARTE E LETTERATURA
____DALL’ARCHIVIO DI COMUNICARECOME____
Saggi per Inserti Cultura
Eugenio Montale. Avrebbe voluto sentirsi scabro ed
essenziale:
sarà difficile ingannarlo.
La sfida del percorso formativo. La multivalenza creativa.
Il 12 ottobre 1986 nasceva a Genova, ultimo di sei
figli, Eugenio Montale. I genitori avevano da anni avviato un’azienda
commerciale: pensando evidentemente di poter collocare il giovane nello
“scagno” di famiglia, lo indirizzarono agli studi tecnici. Una prima sfida del
destino per l’inclinazione poetica dell’introverso adolescente che prese a
immergersi, con la convinzione tipica dell’autodidatta e la complicità della
sorella Marianna, in studi d’ampio respiro letterario e in meditate letture
filosofiche (soprattutto le teorie di Bergson su l’”intuizione” e lo “slancio
vitale”). Molto formative, nella “psicologia geografica” montaliana, le lunghe
stagioni trascorse a Monterosso. Da ragazzo Montale coltivò anche il canto ma
alla morte del maestro (il baritono Ernesto Sivori) decise di cambiare rotta,
convinto ormai della “fondamentale unità delle varie arti” (1). Trainante anche
la passione giovanile per il disegno (che negli anni ’40 sfociò in una vera e
propria mania pittorica). La formazione umanistica e artistica di Montale si
andò perciò sviluppando in esperienze significativamente diversificate: una
molteplicità che oggi – anche alla luce del rinnovato interesse per la
concezione olistica, globale, della conoscenza – non possiamo trascurare se
vogliamo addentrarci nel ricco humus in cui è germinata la sua unicità estetica.
Dalla “sonnolenza” del
meriggio all’urto della catastrofe.
La prima poesia di Montale è “Meriggiare pallido e
assorto”, raffigurazione esemplare dell’amato micropaesaggio ligure, scritta
nel 1916, prima dell’esperienza militare (fu volontario in Trentino) che durerà
fino al ’19. Le prime pubblicazioni risalgono al ’22 quando sul n. 2 della
rivista torinese “Primo Tempo” appaiono “Accordi” e “Riviere”. L’incontro col
gruppo di “Primo Tempo” e poi col gruppo gobettiano de “Il Baretti” accentuò
l’orientamento neoilluministico di Montale, in netta contrapposizione alla
retorica culturale del fascismo, del dannunzianesimo e degli idoli rondisti
della “bella pagina”. Indicativi i lavori di “Stile e tradizione” (2) in cui
Montale auspica la nascita di una “nuova arte del tormento critico” e quelli su
Italo Svevo (pseudonimo di Ettore Schmitz), fino allora pressoché sconosciuto
in Italia, di cui nel ’23 era uscito “La coscienza di Zeno”, assoluto
capolavoro narrativo del genere introspettivo-psicoanalitico. In “Omaggio a
Italo Svevo” e “Presentazione di Italo Svevo” (3) l’ammirazione di Montale per
lo scrittore triestino si sofferma sull’acume di una nuova letteratura che,
“infrante le dighe del romanzo vieux style”, si dimostra capace di registrare e
interpretare con sottigliezza la società del proprio tempo.
Ma il ’25 è anche l’anno della pubblicazione, per le
edizioni Piero Gobetti, di Ossi di seppia, manifesto poetico del
pensiero negativo montaliano, composto negli anni del primo dopoguerra: anni di
pesanti afflizioni morali ed economiche, di paralisi parlamentari e di graduale
avvio al totalitarismo. Anche la cultura entra in una spirale involutiva e
Montale torna a ironizzare (vd. “i poeti laureati” de “I limoni”) su romantici
e decadentisti, su una letteratura misticheggiante e artificiosa. Nel ’27
termina il periodo genovese di Montale: si trasferisce a Firenze e inizia a
lavorare presso la casa editrice Bemporad. Nella nuova città entra in contatto
col gruppo di Solaria e, tramite questo, con scrittori e intellettuali europei.
Nel ’28 viene licenziato da Bemporad ma l’anno dopo il podestà di Firenze gli
assegna, in quanto non iscritto al partito fascista, la carica di direttore del
Gabinetto Viesseux. Per il poeta ciò comporta la possibilità di dedicarsi alla scrittura
e agli studi senza più l’assillo del problema economico. Intanto, amplia le
collaborazioni a la “Fiera Letteraria” e l’”Ambrosiano”, infittisce i rapporti
coi personaggi più attivi della cultura del tempo, con Sergio Solmi, Giacomo
Debenedetti, Giansiro Ferrata, e soprattutto coi “solariani”, allora
considerati “antitradizionalisti”, “antifascisti” nonché, per i rapporti con
diversi scrittori ebraici (fra i quali Saba, Svevo, Kafka, Joyce), “sporchi
giudei”. Invero, la funzione di Montale all’interno di “Solaria” rimase quella
di tener viva un’opposizione morale, critica, al clima storico del momento, ma
sempre col distacco tipico di una personalità insofferente al clamore e
all’esibizionismo. Il sodalizio gli si rivelerà tuttavia fatale quando il regime,
che esigeva ormai il più ferreo controllo delle forze culturali (fossero pure,
come Solaria, minoritarie) e deciso a cooptare il Viesseux all’interno del
“Centro informazioni sul Fascismo per stranieri” presso la Casa del Fascio di
Firenze, vedendo opporsi da Montale il rifiuto di iscriversi al partito
deliberò, nel ’38, di dispensarlo dal servizio.
Nel 1939 vengono pubblicate da Einaudi Le
occasioni, composte a partire dal ’26. “Se gli ‘Ossi’ si fondavano sulla
dimensione dello spazio, ‘Le occasioni’ si fondano sulla dimensione del tempo”
(4); ricorrente, infatti, il richiamo a un tempo beffardo che annulla
incessantemente l’esistenza. Sempre al ’39 risale la collaborazione alle
riviste “Campo di Marte” (a fianco di Vasco Pratolini e Alfonso Gatto) e “Letteratura”.
Seconda guerra mondiale: nel ’40 Montale viene
richiamato alle armi e nel ’41 congedato per “sindrome neuropsicastenica
costituzionale”. La malferma salute lo attanaglierà per tutta la vita,
ostacolandolo non poco nel lavoro di ricerca e scrittura ma anche divenendo
elemento costitutivo della umoralità che darà corpo al sentimento del “male del
vivere”, rappresentato come “morso secreto”, “risucchio”, “orror che fiotta”.
Intanto, con lavori di traduzione, in gran parte di narrativa americana, si
assicura la sopravvivenza. Agli anni della guerra risalgono le poesie di
Finisterre (“Le più libere che io abbia mai scritte”; dedicata allusivamente ai
“principi persecutori” e quindi improponibile in Italia, la raccolta viene
portata da Gianfranco Contini a Lugano dove, nel ’43, è pubblicata da Pino
Bernasconi.
Nel ’45 Montale fa parte del Comitato per la cultura
e per l’arte del C.N.L. toscano e aderisce al Partito d’Azione. Restio a
identificarsi totalmente in una concezione politica, preferisce affrontare,
specie nei suoi interventi sulla “Nazione del Popolo” (organo del C.N.L.),
questioni morali e culturali in funzione critica. Sempre nel ’45, con Bonsanti,
Loria e Scaravelli, fonda il settimanale culturale “Il Mondo”.
La stanza del giornale, la poltrona
di Senatore.
Nel ’46 iniziano le collaborazioni a “Il Corriere
d’Informazione”, “La Lettura” e “Il Corriere della Sera” ed esce, sul n.1 de
“La Rassegna d’Italia”, l’”Intervista immaginaria”, che ripercorre svolte e
riflessioni del suo itinerario poetico e esistenziale, puntualizzato da
un’autocritica spinta all’estremo: “Ho vissuto il mio tempo con il minimum di
vigliaccheria ch’era consentito alle mie deboli forze, ma c’è chi ha fatto di
più, molto di più, anche se non ha pubblicato libri”.
Nel ’48 si trasferisce a Milano: il “Corriere della
Sera” lo ha assunto come redattore. Comincia così una intensa attività
giornalistica che lo vedrà (fino al ’73) impegnato in grandi cronache, critiche
letterarie e musicali, interviste a illustri personaggi, “coccodrilli”
(articoli preparati in previsione delle morte di persone celebri). Molte delle
‘terze pagine’ confluirono più tardi nelle prose di “Farfalla di Dinard” (5).
Ben presto, in veste di inviato speciale comincerà a viaggiare all’estero (un
desiderio mai sopito ma troppo ambizioso, prima d’allora, per le sue scarse
finanze), ampliando le conoscenze nell’ambito della cultura e dell’arte
internazionali e conquistandosi nuovi uditori per le sue ormai richiestissime
conferenze e letture poetiche. Sempre al ’48 risale la pubblicazione, nelle
edizioni milanesi de “La Meridiana”, del Quaderno di traduzioni. “I nomi
degli autori tradotti (fra i quali Shakespeare, Blake, Yeats, Eliot, Guillen –
n.d.a.) rendono ragione degli interessi d’un poeta che considera alcuni
incontri con altri poeti alla stregua di eventi vitali. Sono in gioco affinità
elettive…” (6).
Nel ’49 avviene un incontro che lascerà molte
impronte nella poesia di Montale: quello con Maria Luisa Spaziani. Un forte
legame intellettuale e sentimentale: quasi mille le lettere spedite alla
“Volpe”, come il poeta soprannomina la futura fondatrice del Centro Eugenio
Montale e, a tutt’oggi, Presidente dell’omonimo Premio (7).
Il 21 maggio 1952, al Centre des rèlations
internationales di Parigi, Montale partecipa a un dibattito su “Isolamento e
comunicazione”. Un’occasione preziosa per chiarire il suo dissenso nei
confronti della polemica fra i fautori di un’aristocratica estraneità della
cultura alle vicende storiche del proprio tempo e, all’opposto, i fautori
dell’”engagement”, dell’impegno socio-politico. Il poeta, nel suo intervento
“La solitudine dell’artista” (8), sosterrà che: “il massimo dell’isolamento
e il massimo dell’engagement possono coincidere nell’artista e dovrebbero
coincidere sempre. Nessuno, nell’epoca nostra, fu più isolato di Kafka, e pochi
raggiunsero come lui le strade della comunicazione. Se invece (..) intendiamo
per comunicazione la materiale diffusione di un’opera e intendiamo per
isolamento il fatto che un uomo (..) non esibisca un suo preciso credo politico
e preferisca il riserbo al rumore mondano (..) allora diventa comunicativo
qualsiasi best-seller, diventa engagé qualsiasi scrittore di cui si accettino
le opinioni politiche (..). In questo senso solo gli isolati parlano, solo gli
isolati comunicano; gli altri – gli uomini della comunicazione di massa –
ripetono, fanno eco, volgarizzano le parole dei poeti.”
Nel ’56 (anno del Premio Marzotto) Neri Pozza
pubblica la raccolta “La Bufera ed altro”: scritta fra il ’40 e il ’54, registra
con nuova spietatezza la tragedia corale del conflitto (vd. “La Primavera
Hitleriana) ma anche la delusione per i nuovi assetti sociali.
Ricchissimo di riconoscimenti e di iniziative
editoriali il decennio che segue: Laurea in Lettere honoris causa, nel ’61,
dall’Università di Milano; Premio internazionale Feltrinelli dell’Accademia dei
Lincei e pubblicazione di “Accordi e pastelli” per i tipi di Vanni Scheiwiller,
nel ’62; uscita delle prime 150 copie di “Satura” nel ’63; discorso ufficiale
“Dante ieri e oggi” al Congresso internazionale di studi danteschi del ’65 (VII
centenario della nascita di Dante); pubblicazione della corrispondenza
Montale-Svevo ad opera dell’editore De Donato di Bari e di “Auto da fé” per Il
Saggiatore di Milano, nel ’66. Nello stesso anno escono 50 esemplari degli
“Xenia”, delle offerte d’amore insopprimibile, incondizionato,
all’inestinguibile ombra de “la Mosca”, la moglie morta (“Ho sceso, dandoti il
braccio, almeno un milione di scale / e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni
gradino..”). Nel ’67 Montale riceve a Cambridge l’Honorary Degree. Ma il ’67 è
anche l’anno della nomina (13 giugno) di Senatore a vita dal Presidente della
Repubblica Giuseppe Saragat “per aver illustrato la Patria per altissimi meriti
nel campo letterario e artistico”. Nel ’69, per il 70° compleanno del poeta,
Ricciardi pubblica la raccolta di prose di viaggio “Fuori di casa”.
Per aspera ad astra, con
irriducibile ironia.
Gli anni ’70 rappresentano un periodo
particolarmente ricco, in casa Mondadori, di pubblicazioni montaliane. ’71: Satura,
opera accresciuta di “Xenia” e delle poesie fino al ’70; ’73: Diario del ’71
e del ’72 (9); ’76: “Sulla poesia”, ’77: Quaderno di quattro anni. A
un anno dal conferimento della Laurea honoris causa stavolta dall’Università di
Roma, il 10 dicembre del ’75 riceve dal re di Svezia a Stoccolma il Premio
Nobel per la Letteratura. Due giorni dopo all’Accademia di Svezia terrà il
discorso “È ancora possibile la poesia?” nel quale, non smentendosi nella sua
natura ruvida e irrimediabilmente ironica, dirà: “Io sono qui perché ho scritto
poesie, un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo.” Al Nobel
faranno seguito il conferimento, a Firenze, della cittadinanza onoraria (’77) e
la nomina di membro onorario della American Academy and Institute of Arts and
Letters (’78).
Come già per l’adolescenza, per l’itinerario
formativo e il calvario professionale le stagioni dell’esistenza erano andate
susseguendosi sul doppio filo di una sfida del destino, così anche la vecchiaia
si consumerà sulle righe di una duplice partitura: quella di un sofferto
declino fisico e quella di una ardita energia creativa. Fino a quando il 12
settembre 1981, nel silenzio d’una clinica milanese, s’affaccerà una
“disturbata Divinità” per portare definitivamente con sé la doppia ombra del
poeta.
Il male del vivere. La
“divina” indifferenza.
Il “male del vivere” è uno dei temi portanti di
tutta la poesia montaliana. È la scoperta del vuoto, della parvenza del tutto,
dell’assenza. In questa visione, messa a fuoco negli “Ossi di seppia” col
linguaggio aspro e petroso mutuato dal ‘micropaesaggio’ ligure, in questo
scenario raggelato dell’esistenza come cammino assurdo, monotono, senza scampo,
il pessimismo di Montale si mostrerà radicale: si sottrarrà sempre alle comode
consolazioni, alle facili illusioni salvifiche, mentre andrà elaborando una
concezione dell’indifferenza come unico bene possibile, unica risposta
concepibile nei confronti della malignità della vita: “Spesso il male del
vivere ho incontrato…./ Bene non seppi, fuori del prodigio che schiude la
divina Indifferenza.” L’indifferenza esprime così la “triste meraviglia”, non
l’insensibilità, verso l’illusoria parvenza delle cose (“Le adorate larve”),
sospende l’anima dall’”inganno consueto” della natura, invita a rispondere alla
sofferenza con il silenzio.
La negatività del pensiero montaliano ha anche
sicure implicazioni di refrattarietà a ogni dogmatismo: “Non domandarci la
formula che mondo possa aprirti, / sì qualche storta sillaba o secca come un
ramo. / Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non
vogliamo”, dove il “non” sta a ribadire il rigetto morale di ogni precostituita
verità liberante e suggerisce piuttosto di riflettere con spirito disincantato
sulle contraddizioni dell’umanità, secondo un’indicazione di “resistenza” che
rimarrà fondamentale della sua poetica.
Con “le Occasioni”, il sentimento del male del
vivere si svilupperà lungo la direttrice di un tempo che deforma e sommerge la
memoria delle cose: “Tu non ricordi; altro tempo frastorna / la tua memoria”, e
d’ogni tratto umano: “Non recidere, forbice, quel volto / solo nella memoria
che si sfolla, / non far del grande suo viso in ascolto / la mia nebbia di
sempre.” È il tormento dell’anima sull’incessante dissoluzione del tutto,
elaborato per mezzo di quel tipico procedimento montaliano dell’”ironic
implication” che adotta piccoli banali oggetti quotidiani e simboli di
salvazione, che abbassa i toni, smorza la commozione (“Ti libero la fronte dai
ghiaccioli..”), quasi a nascondere i sentimenti più teneri, a proteggere le
“occasioni” più vibratili e preziose (come l’amore). Ma anche un procedimento
che nel gioco strategico di quell’occultamento lascia baluginare il guizzo
d’una inaspettata resistenza esistenziale: “Non so come stremata tu resisti /
in questo lago / d’indifferenza ch’è il tuo cuore; forse / ti salva un amuleto
che tu tieni / vicino alla matita delle labbra, / al piumino, alla lima: un
topo bianco, / d’avorio; e così esisti!” (“Dora Markus”).
La ripugnanza morale.
“L’oscuro pensiero di Dio”.
In coincidenza con gli anni della seconda guerra e
del dopoguerra,l’ironia del registro montaliano sfocia in tratti di sarcasmo
feroce e la ripugnanza morale si affida a toni e immagini di sapore grottesco:
“Dicono che chi abiura e sottoscrive / può salvarsi da questo sterminio d’oche
(..) ho annusato nel vento il bruciaticcio / dei buccellati al forno (..) e i
colpi si ripetono ed i passi / e ancora ignoro se sarò al festino / farcitore o
farcito” (vd. “Il sogno del prigioniero”).
Ma è proprio nell’ambito della tragedia-bufera che
si affaccia “l’oscuro pensiero di Dio”, con accenni a “il Volto insanguinato
sul sudario / che mi divide da te” (vd. la delicatissima “Iride”) e a segni di
protezione divina (e predestinazione) che vanno rivelandosi attraverso la
figura della donna: “messaggera / che scendi, prediletta / del mio Dio (del tuo
forse)..” (fortissimo, qui, il richiamo alle visioni dantesche). Ma
complessivamente, in questa fase, il “pensiero di Dio” sta, soprattutto, a
sorreggere l’impotente e confuso sentimento di pietà verso le ombre dei morti:
“I miei morti che prego perché preghino per me..” e ad abbozzare forme di
identificazione fra l’umano e il divino (“Immanenza e trascendenza non sono
separabili”, affermerà il poeta). Se di teologia, comunque, si può parlare in
Montale, di “teologia laica” si tratta: è l’uomo il soggetto centrale delle sue
riflessioni, e tutto umano e affettivo rimane il senso della sua ipotesi di
religiosità.
La ‘fede’ di Montale non ha, soprattutto, pretese
escatologiche, non compie discorsi attorno al destino finale dell’uomo nel
regno dell’aldilà: “Solo quest’iride posso / lasciarti a testimonianza / d’una
fede che fu combattuta, / d’una speranza che bruciò più lenta / di un duro
ceppo nel focolare (..) e persistenza è solo l’estinzione (“Piccolo
Testamento”). E ancora (a scanso di postume “normalizzazioni” religiose?):
“L’oltrevita è nel tempo che se ne ciba / per durare più a lungo del suo
inganno”, “Non si è mai saputo se la vita / sia ciò che si vive o ciò che si
muore”, affermerà ormai ultrasettantenne. La spiritualità di Montale è
racchiusa lì, in quell’atteggiamento di umiltà che lo ha visto sottolineare il
suo limite di uomo anche quando a colloquio con le più alte tensioni morali e
spirituali. Tutto questo nella consapevolezza che nessuno è depositario di una
verità e che il vero dono divino, per l’uomo, è il dubbio.
Marina
Palmieri
Note e riferimenti bibliografici
(1) “Intervista immaginaria”, “La Rassegna d’Italia”, 1946, 1, pp. 84-85.
(2) “Il Baretti”, gennaio 1925.
(3) Usciti rispettivamente su “L’Esame”-novembre/dicembre 1925 e “Il Quindicinale”-gennaio 1926.
(4) Piero Bigongiari, “Poesia italiana del Novecento”, Vallecchi, Firenze 1965, p. 217.
(5) Edito da Neri Pozza nel ’56, poi da Mondadori per l’edizione accresciuta del ’60.
(6) cfr. Giorgio Zampa, Introduzione a “Montale – tutte le poesie”, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1984, p. LII.
(7) Il Centro-Archivio Eugenio Montale, aperto continuamente ai nuovi studi e apporti critici riferiti al poeta, ha sede in Roma, Via Buonarroti 39.
(8) Così intitolato in “Auto da fé”, Il Saggiatore, Milano 1966.
(9) Il solo “Diario del ‘71” era uscito per la prima volta nelle Edizioni Vanni Scheiwiller, per il Natale dello stesso anno.
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“l’informatorecultura” - Supplemento n°1 all’Informatore Vigevanese n°44 del 31 ottobre 1996 / dispensa 8
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