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Suicidi
per ragioni economiche. Un
lutto senza rimozioni nella nostra coscienza individuale e collettiva. - di Marina Palmieri - |
2011/2012 Disperazione lucida e senso della dignità Tema drammatico quello dei suicidi per ragioni economiche, con inquietante aumento di casi tanto nell'ambito della piccola e media imprenditoria, tanto nell'ambito della cosiddetta "gente comune" (come ad esempio persone improvvisamente senza lavoro, senza più redditi per andare avanti e per mantenere la propria famiglia, ma anche persone gettatesi giù dal balcone nell'imminenza di uno sfratto o all'arrivo dell'ufficiale giudiziario). Quali
gli strumenti per una prevenzione efficace di questo triste fenomeno? Quali
ammortizzatori sociali vanno predisposti e immediatamente resi disponibili
per frenare questo abbandono a se stessi dei cittadini, prima che l'angoscia
per una difficile situazione economica (ma molto spesso anche per una
difficilissima situazione di mera sussistenza) si traduca in un atto di
lucida disperazione? Con
questi interrogativi aperti, è perlomeno opportuno sottolineare che troppo
facile, e a volte sin troppo disinvolta, è una interpretazione di tali
fenomeni in chiave di ‘depressione’. Che poi
uno stato di profonda demoralizzazione, di grande avvilimento psicologico e
morale, possa instaurarsi in caso di gravi difficoltà economico-finanziarie,
è altra cosa: del tutto normale, del tutto naturale, e sempre degna di riparo
da facili stigmatizzazioni, da eventuali tentazioni di spostare l'attenzione
dal problema oggettivo alla sfera morale-psicologica del soggetto che in quel
problema è immerso. Ma
spesso, come già fatto cenno, al "gesto estremo" si arriva appunto
in uno stato di disperazione lucida: e quella disperazione può essere così
lucida da indurre a lasciare un biglietto con qualche razionale e succinta
spiegazione, del tipo: "scusatemi, semplicemente non ce la faccio
più", o "mi scuso, ma è l'unico modo per venirne fuori". In molti
casi la disperazione è così tanto lucida da comprendere in sé la volontà di
dar prova (di dare un segno, di dare una manifestazione) della sincera
prostrazione morale per aver seppur involontariamente coinvolto la vita di
altre persone in quella situazione di difficoltà economiche per la quale non
c'è più alcuna porta aperta: è il caso, ancora, di vari imprenditori che si
sono visti costretti a licenziare i propri dipendenti, costretti a frantumare
così il sogno e l'impegno e la tenacia profusi in una progettualità
lavorativa significante anche una progettualità del "realizzare
insieme", una progettualità collaborativa, una progettualità
esistenziale corale. Altrettanto
grave è la situazione di molti singoli professionisti, e di molti singoli
artigiani, titolari di piccole imprese e altri operatori economici, che si
sono sempre mossi all'infuori di logiche clientelari e corporativistiche di
categoria, che hanno sempre cercato di non chiedere niente a nessuno neanche
nei momenti più difficili, che hanno investito le loro energie nella fiducia
sulle loro competenze, nella fiducia su un percorso di qualità che, per
essere mantenuto tale, abbia evitato mediocri logiche di convenienza, di
condizionamenti e di “bluff” a
scapito appunto della qualità (e della deontologia stessa del mestiere),
anche quando ciò avrebbe potuto far imboccare comode scorciatoie. E sembra
a volte che la scelta e la strada della qualità (la qualità e, con essa, il
credo in ciò che si fa), debba come essere punita. Un discorso, questo, che
porterebbe molto lontano ma che sicuramente, prima ancora e a monte di tante
difficoltà materiali oggettive, andrebbe forse indagato anche in quella zona
grigia che sta tra il disinteresse, specie per i “non garantiti”, e
l’ammorbamento di energie vitali, tra l’insofferenza e l'invidia sociale. E
potrà forse suonare scontato il dirlo, ma è il caso di ricordare che anche la
semplicità è una qualità, lo è dunque anche una vita che, anche qui lontana
da logiche di consociativismo e di “reti a tutti i costi” (incluse quelle
microterritoriali, che ancora stentano a farsi largo nel dibattito sui
diritti sociali del cittadino), venga trascorsa consapevolmente nella
morigeratezza di uno stile di vita relazionale, nella capacità di essere
soddisfatti di ciò che si è e di ciò che si ha, nella ricchezza
dell’essenzialità o della essenzialità tout court. Quanto anche questo tipo
di qualità può dirsi al riparo? Quanto è al riparo - anche dall’indifferenza
e anche dall’abbandono di tipo sociale - la vita stessa
dell’individuo/cittadino in sé per sé considerato? Con un esempio terra-terra
che riporta al caso di tragedie recenti di persone comuni che avevano avuto
difficoltà con l’affitto (e ovviamente con tutti i problemi conseguenti):
com’è possibile che un cittadino che versi in una situazione simile non
riesca ad ottenere in tempo utile un’attenzione, un ascolto e quindi un aiuto
fattivo alla stessa stregua di chi invece, versando nella sua stessa
situazione oppure in una situazione anche molto meno critica, riesce subito
ad avere un appuntamento nelle sedi istituzionali locali (o in strutture
collegate alle istituzioni locali) perché ha conoscenze che contano in quelle
sedi? E quanto incide sul morale di quella persona anche già il fatto di non
avere nessuna risposta alle sue telefonate, alle sue lettere, a volte neanche
il rispetto di un appuntamento già precedente fissato e per il quale siano
state fatte ore e ore di attesa, attendendo inutilmente la comparsa ora del
sindaco, ora dell’assessore di turno? Si potrà obiettare, su questo punto,
che ogni singolo cittadino ha comunque la possibilità di autotutelarsi da simili
comportamenti, già a partire dalla denuncia (oppure dell’esposto-denuncia)
per omissione d’atti d’ufficio, per poi attivarsi anche in sede civile. Già,
ma tutto questo come? e poi con quali tempi? e con quali costi anche umani,
quand’anche abbia diritto all’assistenza di un legale d’ufficio? [Altro
punto, anche ammettendo idealmente pari ammissibilità di ricevimento per i
due cittadini dell’esempio appena riportato, sarebbe la necessità sia di
addivenire al rispetto di una serie di linee-guida nel colloquio col
cittadino, tali da garantire al cittadino medesimo che il colloquio in fase
di ricevimento sia utile e efficace nelle indicazioni che gli vengono fornite
ed evitandogli dunque il rischio e la mortificazione di un colloquio fumoso
e/o inconcludente, sia soprattutto di consentire al cittadino la presenza di
un ‘tutor’ nella persona di una terza persona (ovviamente estranea alla sede
istituzionale che ha accolto la richiesta di ricevimento del cittadino) che
presieda alla regolarità e all’efficacia delle risposte fornite al cittadino
dal rappresentante istituzionale.] Alleggerendo
per un attimo il tono dell’argomentazione e citando un’ormai nota battuta di
una rèclame pubblicitaria, viene da aggiungere amaramente che anche per il
cittadino più distante e avulso, più staccato, da logiche di gruppo, e che
sceglie di rappresentare sé stesso come attore sociale a buon diritto (in
primis sé stesso, prima ancora o anziché un qualsivoglia “noi”), vale
l’affermazione: “Perché anch’io valgo”. Un valere a prescindere da, un
valere per il fatto stesso di esistere al mondo, di essere una creatura
dell’universo, di essere un individuo e un membro della società. Tragedia e priorità. Le tematizzazioni, le ricerche. Una
“Giornata della Memoria” anche per le vittime dell’abbandono sociale. Resta il
fatto, drammatico e senza altri aggettivi inutili se non quello di
inaccettabile, dei suicidi per ragioni economiche a vario titolo
attribuibili: suicidi che purtroppo richiamano alla mente il gesto
altrettanto lucido in stile 'karakiri' nel quale si mescolano in pari misura
elementi di disfatta sia personali sia socialmente indotti, per di più con
sensi di colpa e vergogna che di per sé non avrebbero ragione d’essere,
suicidi che (sia essi riguardanti imprenditori, professionisti, operai, o
semplici persone che si gettano giù dal balcone per cercare di ripararsi
dall'onta – o dalla percezione d’un senso di “onta” – rappresentata da uno
sfratto, o, ancora, persone che vanno ad annegarsi nelle acque di un vicino
fiume se più nessuna porta apre loro uno spiraglio di speranza e un aiuto
concreto piccolo che sia) vengono messi in atto per preservare l'unica cosa
che davvero niente e nessuno potrà mai comprare né svendere: il senso della
dignità. Per alcune persone, purtroppo, il "farla finita" pare che rimanga - paradossalmente quanto si vuole, ma verosimilmente - l'unico modo per tenere viva e manifesta la fede in quella dignità. Ma lo spreco di vita è di per sé inaccettabile, nel senso che, letteralmente, non può essere accettato, e che altresì non è accettabile alcuna rimozione di ciò che esso (quello spreco di vita) rappresenta. Non è accettabile, in tal senso, men che mai il rischio di assuefazione per il tramite di una progressiva sottolineatura mediatica del tema stesso, o, detto in altre parole, non è pensabile che una progressiva esposizione mediatica di detto fenomeno (quello appunto dei suicidi per ragioni economiche) possa far attutire la percezione della gravità del fenomeno stesso, tanto nella nostra coscienza individuale, tanto nella nostra coscienza collettiva; è opportuno, in tal senso, che gli operatori e tutte le migliori energie della sfera crossmediatica prestino a quel fenomeno un’attenzione a più dimensioni, ovvero non soltanto in orizzontale col monitoraggio e con la successiva evidenziazione cronachistica dei casi, ma, parallelamente, anche in verticale ossia con approfondimenti progressivi, inchieste, dossier, all’occorrenza anche avvalendosi della letteratura scientifica già in questi anni avviata e prodotta proprio in materia di indagine sull’alta correlazione tra aumento dei suicidi e aumento delle difficoltà economiche/finanziarie [a quest’ultimo proposito, tra la letteratura scientifica disponibile e reperibile sia su cartaceo sia sul web, si cita qui lo studio “Health effects of financial crisis: omens of a Greek tragedy” ("Effetti della crisi finanziaria sulla salute”, con dati, reports e proiezioni del caso-Grecia - n.d.a.) su The Lancet, Volume 378, Issue 9801, Pages 1457 - 1458, 22 October 2011]. ( >> ) Né è accettabile che tale fenomeno possa, se non scomparire, essere sottaciuto nelle agende governative come pure in quelle di impulso politico (più propriamente nell’attività di ‘agenda-setting’, ossia nell’assegnazione delle priorità ai temi da prendere in considerazione), perché se così invece fosse si innescherebbe un clima di disinteresse e una ‘normalizzazione’ dell’indifferenza ancor più sostanziali: e cioè disinteresse e indifferenza sia per la portata umana/esistenziale della fattispecie del suicidio per ragioni economiche, sia per la portata sociale (scaturigine sociale, eziologia sociale, nonché riflessi sempre sul piano sociale) della fattispecie medesima del suicidio per ragioni economiche. Se davvero accadesse che all’indomani di tanti suicidi per ragioni economiche (ma già all’indomani di uno, anche uno solo, di questi suicidi) si finisse con il rimuovere dalla coscienza e con il liquidare dal ricordo la gravità di tale fenomeno, avremmo davvero toccato il fondo della necrofilia sociale. Quella forma di necrofilia che prima si alimenta di disinteresse, di indifferenza-insofferenza e di abbandono, e che poi opta scientemente per l’oblio, per la rimozione. Per
scongiurare questo pericolo dell’oblio, e anche in attesa del consolidamento
di politiche effettive di attenzione, di welfare propriamente detto o
perlomeno di non-indifferenza nei riguardi di tutti i cittadini, non può
dirsi peregrina né stramba l’idea di istituire una “Giornata della Memoria”
anche per le vittime dell’abbandono sociale. Benessere o ‘ben-essere’? Ripensando paradigmi di
vivibilità e concetti di sostenibilità umana. L'auspicio
finale è quello di poter contare su volontà illuminate, ben guidate nella
comprensione del valore della vita, e che questa comprensione mantenga il suo
meritato posto anche nella gestione degli ambiti di gestione delle risorse
socioeconomiche di oggi e del futuro, anche perché, come le stesse discipline
socio-politiche insegnano, l'economia (compresa la macroeconomia, disciplina
principe degli studi di economia politica) non è una scienza esatta, né
tantomeno una scienza esatta che possa presumersi legata a paradigmi
arbitrariamente fissati, bensì una scienza sociale intrecciata a molte
variabili, e fra queste la "variabile umana" resta al primo posto:
al primo posto non solo e non tanto in senso funzionale, ma principalmente in
senso valoriale intrinseco. Nuove
intelligenze (e competenze e sensibilità) che a cavallo tra il secondo e il
terzo millennio corrente hanno ripercorso e stanno ripercorrendo, proprio in
materia socioeconomica, l’analisi dei vari modelli possibili e sostenibili
(sostenibili non solo riguardo alle sempre più esauste risorse del pianeta
terra, ma anche riguardo a soglie d’impiego del potenziale umano) hanno
portato alla luce concezioni come quelle di “umanesimo economico”, così come
pure di “slow economy”, o, ancora, di “decrescita felice”: concezioni che
verosimilmente erano già nella mente e nel cuore anche del cosiddetto “uomo
della strada”, ovvero anche nell’animo di ogni persona comune, e che alla
base formulano un concetto di P.I.L. (= prodotto interno lordo) il cui
fattore non già semplicemente addizionale, bensì esponenziale, è
rappresentato dalla componente di felicità umana (o, più semplicemente e
prosaicamente, di serenità umana, intesa qui anche come armonioso rapporto
con quelle altre componenti più ‘ufficiali’ di benessere che sono
rappresentate dal frutto dell’attività umana, ovvero beni, servizi, etc.). Ora,
alla felicità o perlomeno alla serenità hanno diritto tutti, si tratta di un
diritto naturale o meglio ancora di una condizione connaturata all’esistere.
Anche questo potrà apparire banale e ovvio dirlo, ma il creato esiste per
vivere. Non per essere fatto morire. Ai
fondamentali bisogna mantenersi, forse anche ritornare se i tempi sono quelli
della disattenzione dal valore infinito e non negoziabile dell’esistere,
della vita. E se i tempi che stiamo attraversando sono quelli che, dopo tutte
le possibilità di conoscenza che abbiamo avuto e che abbiamo potuto esperire,
si sono attestati su una dislocata attenzione dal valore-vita a falsi valori
ad essa esterni, tanto, allora, tuona scandaloso, scandaloso come un macigno
cosmico, che tante persone si siano suicidate per non sapere più come andare
avanti, come sopravvivere, come pagare un affitto di (non già un palazzo, non
già una tenuta) una casa semplice o finanche un alloggio popolare, così come
altrettanto tuona scandaloso che tante altre persone nel corso della loro
attività siano rimaste schiacciate da meccanismi senza via d’uscita e, di
fronte ad una anti-umanità della situazione indotta, non abbiano potuto
anch’esse far altro che suicidarsi. Consapevolezza del ruolo di servizio. Interazione,
responsabilità. La
conoscenza, appunto: a cosa serve se, anche in ambito sociale, è disgiunta
dalla virtù? A niente, anzi da sola può anche essere dannosa, la conoscenza
che rimanga nella sfera del mero intelletto. “Fatti non foste per viver come
bruti, ma per seguir (..)”. Assieme: virtù-e-conoscenza, come ammoniva Dante
Alighieri, inoltrandosi poi, pure a beneficio delle facoltà di discernimento dei
posteri, nell’evidenziare nella Divina Commedia le virtù o, al contrario,
malefatte e vizi di tanti personaggi che ebbero a maneggiare situazioni di
potere. Per gli ignavi, invece, cioè i “senza infamia e senza lode” - gli
indifferenti, possiamo dire oggi - l’indicazione sintetica e sdegnosa di un
“non ti curar di loro, ma guarda e passa”, tanto evidentemente carico di
gravità il presagio per la sorte di chi omette, di chi per comodità sceglie
di non vedere, di chi si disinteressa. Specularmente e per confortante
associazione al contrario, tornano qui in mente alcune parole di un assessore
di una grande città lombarda pronunciate nel 2011 nel corso di una conferenza
pubblica e riguardante situazioni che oggi ci riguardano un po’ tutti da
vicino: “(..) Chi si trova ad assumere una carica pubblica che implica potere
di gestione, potere amministrativo, quel ruolo (ossia quel potere) deve
viverlo e svolgerlo come ruolo di servizio, specie nei confronti dei
cittadini che abbiano situazioni difficili, nei confronti dei cittadini più
deboli. (..) un ruolo di servizio anche nel modo col quale si ascolta e si
presta attenzione ai vari aspetti del problema del cittadino, tenendo
presente che la sua difficoltà è non soltanto nel problema stesso che sta
vivendo, ma anche (durante l’incontro con l’amministratore pubblico) nel
fatto di trovarsi lì a dipendere da chi invece ha un qualche potere sulla
risoluzione del suo problema.” Piace
qui far seguire queste annotazioni col monito semprevivo di "avevo sete,
avevo fame, e non mi avete (..)", come pure con le parole lapidarie,
asciutte e stringenti del poeta Sandro Penna "mi avevano lasciato solo /
mi avevano lasciato", parole queste che vengono qui idealmente associate
alla tragica sorte di coloro che, appunto, di questi tempi, si sono tolti la
vita per ragioni economiche, senza più poter contare su una porta aperta per
sopravvivere e per uscire dal loro tunnel nero. Non
senza terminare con l’intensa esortazione contenuta in altre parole da un
pensiero di Karol Woytila / Papa Giovanni Paolo II: "Coloro che hanno di
più si sentano responsabili dei più deboli, mentre i più deboli non abbiano
un atteggiamento distruttivo, ma agiscano anch'essi per il bene di
tutti." Una generazione dimenticata? Dagli sforzi alla necessaria
resilienza. La riflessione. Un
capitolo più specifico che sempre nell'ambito di questo tema meriterebbe
un'attenta riflessione riguarda quello che, nei casi di suicidi per ragioni
economiche di questi ultimi tempi, è il dato anagrafico prevalente, ossia
l’alta incidenza nella fascia d'età compresa tra i 45 e i 55-57 anni (anno
più, anno meno). Una parte di popolazione, quella corrispondente a questa
fascia d'età, che è stata parte attiva, in primo e non sempre facilissimo
piano, del complesso processo di evoluzione del nostro Paese, sul piano
economico ma non solo. Una parte di popolazione che (forse anche perché, in
quanto figlia di una generazione che aveva conosciuto le miserie della
guerra, aveva interiorizzato il valore del "darsi del fare" anche
in momenti difficili, del "rimboccarsi le maniche" anche nei
periodi meno favorevoli) ha svolto un ruolo fondamentale in quel processo di
sviluppo della qualità - che comprende ma non si esaurisce nel "made in
Italy" - costituito appunto anche dalla spessa trama di tante
piccole-grandi storie di tenacia, di volontà, di applicazione e
d'intelligenza costruttiva e creativa. Fondamentale, quel ruolo, e anche
difficile da svolgere fino in fondo; così difficile, in tanti casi (specie,
come già fatto cenno, in assenza di 'reti' di protezione, specie senza il
concorso di facili scorciatoie), da forgiare attitudini e capacità di
resistenza che poi, per molti soggetti, si sono trasformate gioco-forza in
vere forme di 'resilienza'. Gioco-forza e per dura necessità. Quel "non
ce la faccio più", però, lasciato scritto su qualche foglio di carta
prima dell'ultimo atto possibile, così come quei tanti fogli mai scritti
perché all'ultimo è mancata la forza anche per quello, o in tanti casi perché
è sopravvenuto un eccesso di senso di vergogna, di disagio esistenziale
vissuto purtroppo come un'onta, addirittura e chissà perché addirittura come
macchia morale: ecco, quei segni vergati nell'urlo sommesso o nell'afasia
restano oggi come la testimonianza di una generazione che meritava, e merita,
più attenzione, più rispetto. Qualcuno, da più parti, ha già detto che si
tratta di una generazione dimenticata. Un motivo, anche questo, di
riflessione in più. (Marina Palmieri - fine Dicembre 2011 / Gennaio 2012) |
■
«Suicidi per ragioni economiche. Un
lutto senza rimozioni nella nostra coscienza individuale e collettiva.»
- di Marina Palmieri (
www.marinapalmieri.it
) - Articolo ▲ |
> Suicidi per
ragioni economiche Links
/ Alcuni post sull’argomento / Selezione
:: http://italiadallestero.info/archives/9147 "I suicidi degli imprenditori illustrano le
difficoltà delle PMI (piccole medie imprese) del Nord dell’Italia" --
[Articolo originale "Des suicides de patrons illustrent les
difficultés des PME (petites ou moyennes entreprises) du nord de l'Italie
" di Philippe Ridet] :: http://www.criminologia.it/osservatorio_criminologico_Prato/suicidi/i_suicidi_a_Prato2.htm “OMICIDIO-SUICIDIO
PER DIFFICOLTA' ECONOMICHE” :: :: http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736%2811%2961556-0/fulltext The
Lancet, Volume 378, Issue 9801, Pages 1457 - 1458, 22 October 2011 “Health
effects of financial crisis: omens of a Greek tragedy” ("Effetti della crisi finanziaria
sulla salute: segni premonitori di una tragedia greca" - traduz. lett.,
n.d.r.) [traduzione nel senso più formale: "Effetti
della crisi finanziaria sulla salute: proiezioni infauste della tragedia del
caso-Grecia" – n.d.r.] Estratto - alcuni punti: “Suicides rose by 17% in 2009 from 2007 and
unofficial 2010 data quoted in parliament mention a 25% rise compared with
2009” “The Minister of Health reported a 40% rise in
the first half of 2011 compared with the same period in 2010.” “The national suicide helpline reported that
25% of callers faced financial difficulties in 2010 and reports in the media
indicate that the inability to repay high levels of personal debt might be a
key factor in the increase in suicides.” Traduz., n.d.r. “I
suicidi sono aumentati del 17% nel 2009 dal 2007 e dati ufficiosi del 2010
citati in Parlamento riportano un aumento del 25% rispetto al 2009. “Il
Ministero della Salute ha registrato un aumento del 40% nella prima metà del
2011 rispetto alla stesso periodo nel 2010.” “La
helpline (linea d’aiuto / filo diretto) nazionale sul suicidio riporta che il
25% dei chiamanti si è imbattuto in difficoltà finanziarie nel 2010 e le
cronache dei media indicano che l’impossibilità di restituire alti livelli di
debito personale è verosimilmente il fattore cruciale dell’aumento dei
suicidi.” |
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