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PIACERI GASTRONOMICI: OSTACOLI DIFFICILI DA
SUPERARE
“Il meglio vedo e al peggior m’appiglio” di Franco Libero Manco
|
Molti mali della società contemporanea si potrebbero evitare se ogni
essere umano avesse la volontà di contribuire a realizzare un mondo migliore
piuttosto che concorrere con le sue scelte egoistiche a generare questa
realtà che tutti vorremmo fosse migliore. Nella stragrande maggioranza dei
casi la forza del “piacere” ha il sopravvento sulle più utili e salutari
aspirazioni umane. Rinunciare al “piacere” a vantaggio della propria salute e
della propria coscienza resta ancora per troppi solo un buon proposito. Non serve prendersela coi macellai, o coi pescivendoli (anche se sono
colpevoli di prestarsi ad una cultura di sangue e di dolore): essi ammazzano
gli animali e li vendono perché il popolo chiede la carne, il pesce, il
pollame, i prosciutti, le mortadelle, i formaggi, il latte, le uova, le
pellicce e ogni prodotto di derivazione animale. È la richiesta a generare la
produzione dei prodotti che vengono venduti. Il boia esegue materialmente la
condanna e la sua colpa è relativa: ma se nessuno si prestasse a tale
tremenda pratica non vi sarebbero esecuzioni capitali né di umani né di
animali. È la massa che deve essere educata ad una cultura di vita,
di giusta alimentazione, di consapevolezza, di rispetto di se stessi e del
pianeta. Il piacere del palato è uno dei maggiori ostacoli da superare:
convincere la gente a rinunciare ad alcuni piaceri della tavola a vantaggio
della propria salute, della propria coscienza e della vita degli animali è
un’impresa quasi disperata. Non vi è sventura che non sia attribuibile all’incapacità dell’uomo di
resistere all’appagamento di un particolare piacere. L’umanità si può dire
che sia vittima di tre grandi poteri che condizionano la vita sociale: Soldi,
Sesso e Sapori, le tre S che gli impediscono di evolvere, di aprirsi alla
vera dimensione della vita, di conoscere la verità e con essa il benessere
integrale. Condividere il fascino del potere senza scendere a compromessi con
la propria coscienza; vivere l’attrazione sessuale senza esserne prede e
succubi dei propri istinti; alimentarsi senza fare del cibo lo scopo della
propria esistenza: queste sono le condizioni per una nuova umanità fatta da
individui parsimoniosi, moderati, equilibrati, saggi, in grado di essere
artefici del proprio destino. La vera libertà non è essere liberi di
soddisfare i propri piaceri ma la capacità di non farsi condizionare da essi;
non è avere la possibilità di esprimere le proprie pulsioni ma la capacità di
incanalarle per il superamento dei propri limiti. L’uomo non troverà la
felicità, né potrà realizzare veramente se stesso fino a quando non sarà libero
da condizionamenti istintuali, fisici, mentali, emozionali. Mente, corpo e
spirito sono inseparabili. Chi non è in grado di dominare il piacere non è
uno spirito libero. È l’incapacità di rinunciare al piacere del fumo di sigaretta,
dell’alcol o della droga che impedisce all’individuo di vivere in modo giusto
e conforme alle leggi naturali. La rinuncia immotivata ad un piacere, che genera tensione, si può
neutralizzare in due modi: mediante il soddisfacimento dello stesso (ma è
come cercare di spegnere la sete bevendo acqua salata, perché il desiderio
ritorna), oppure dominare il desiderio mediante giuste motivazioni: questo
aumenta notevolmente la forza di volontà dell’individuo e lo rende libero e
capace di amministrare la propria vita. Il nostro sforzo maggiore sarà quello di proporre le motivazioni giuste affinché la gente riesca a rinunciare al “piacere” sostituendolo con altri più vantaggiosi e valori più edificanti. Non sarà la paura della malattia a far rinunciare ai piaceri del palato, se mai questo potrà ridurre ma non abolire del tutto l’uso di prodotti animali. La gente, nella maggioranza dei casi, è consapevole che i prodotti carnei e tutti i cibi trattati sono dannosi per la salute, come quelli nervini, alcolici e voluttuari in genere, ma preferisce affrontare il probabile (per noi certo) stato di malattia, e anche rinunciare a qualche anno di vita, piuttosto che rinunciare al piacere del palato. La gente sa che troppi caffè fanno male, come fa male il fumo di sigaretta, lo zucchero raffinato, i prodotti inscatolati, trattati, conservati, le patatine fritte ecc. ma preferisce correre il rischio degli effetti che produrranno piuttosto che rinunciare al piacere di consumare questi prodotti. Inoltre, anche se un determinato prodotto costituisce pericolo ognuno pensa di essere quell’eccezione che non conferma la regola e di riuscire a vivere a lungo (e magari anche in salute) nonostante il suo cattivo stile di vita e le sue trasgressioni alimentari. Far rinunciare la gente a quei piaceri che la rendono debole e malata
sembra non ci sia ragionamento che valga. Quali motivazioni apportare
affinché i giovani smettano di intossicarsi, di acidificarsi, di ossidarsi,
di devitaminizzarsi, di demineralizzarsi, di drogarsi, di alcolizzarsi, di
affumicarsi di caffeinizzarsi, …? Se si entra in un qualsiasi ristorante ci si accorge di quanta gente è
intenta a divorare animali preparati nei modi più svariati e raccapriccianti.
Se si frequenta un supermercato ci si rende conto di quanta gente si assiepa
nei banchi del macellaio, del pescivendolo o dei latticini. Se poi si guarda
ai grandi mercati delle popolazioni cinesi, asiatiche, ai mercati delle
grandi città come Il Cairo, Calcutta, Città del Capo, dei paesi più poveri
dove gli animali sono considerati meno di cose, ci si rende conto che
convincere la gente a rinunciare alla carne o al pesce è un’impresa ardua.
Limitare o ridurre il consumo di alimenti animali e voluttuari sarebbe già un
primo passo verso un più giusto e salutare modo di vivere. A mio avviso tre sono i principali motivi per cui una persona può
rinunciare a consumare cibi animali: 1) la salute dichiaratamente
compromessa; 2) un sostituto vicariante di quel particolare piacere; 3)
motivazioni etiche, di giustizia, di condivisione in adesione al principio
“non fare ad altri ciò che non vorresti per te stesso.” La prima è una scelta
egoistica: “Non mangio la carne perché
mi fa male: se facesse bene la mangerei”, quindi inaccettabile sotto il profilo etico. La seconda
denuncia la debolezza dell’individuo che ristabilisce il suo equilibrio
psichico a condizione che non sia privato di quel piacere; la terza è quella
adottata dai vegetariani/animalisti e che sono tali per amore, cioè da coloro
che non mangerebbero prodotti carnei per nessun motivo al mondo. In realtà è
lo spirito di condivisione fraterna, di consapevolezza e responsabilità che
si oppone alla leggerezza, all’indifferenza, al concetto “Chi se ne frega se l’animale soffre e muore; chi se ne frega se la
carne fa male.” In che modo noi ci distinguiamo dai “viziosi” e dai
farabutti? Dalla nostra volontà di non
seguire l’istinto naturale che dice:
“Mangia, divertiti, godi, non pensare alla vittima, né agli effetti che tale scelta comporta;” dalla nostra capacità
di seguire ciò che è giusto, non ciò che ci piace. La domanda che dobbiamo farci è: quali sono stati i motivi che hanno
indotto noi ad aderire a questa filosofia di vita? Che cosa ci ha spinto a
lottare per l’affermazione dei nostri principi? Nella risposta emergeranno
termini come: amore, giustizia, compassione, senso critico, dignità, rispetto
per la vita, valorizzazione del diverso, evoluzione, civiltà, progresso… ma
uno li comprende tutti: CONDIVISIONE. Questo è ciò che dobbiamo far maturare
nella gente se vogliamo rendere l’uomo capace di rinunciare ad un piacere
dannoso per sé stesso e per gli altri. |
Rif.: Franco Libero Manco,
“PIACERI GASTRONOMICI: OSTACOLI DIFFICILI DA SUPERARE” |
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