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“PERMESSO... DISTURBO?”: dal Rhodense un progetto di
largo respiro PER MIGLIORARE LA VITA DI CHI
VIVE IL DISAGIO PSICHICO.
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SALUTE / DIVULGAZIONE SCIENTIFICA
____DALL’ARCHIVIO DI COMUNICARECOME____
DAL
RHODENSE UN PROGETTO DI LARGO RESPIRO
PER
MIGLIORARE LA VITA DI CHI VIVE IL DISAGIO PSICHICO.
Dal Forum sulla salute mentale agli affidi
eterofamigliari: il piano di “supporto alla domiciliarità” messo a punto
dall’Unità Operativa di Psichiatria 42 di Rho.
- di Marina
Palmieri, con intervista al dr. Franco Crenna -
Migliorare
la vita di chi vive disagi psichici, mobilitare risorse locali anche non
istituzionali per superare l’esclusione sociale dei disabili psichici e delle
loro famiglie, creare una “rete naturale” di aiuto e supporto a questi
pazienti, fino a giungere all’affido familiare: questi alcuni dei punti forti
del Progetto “Permesso... disturbo?”, Progetto operativo di inclusione sociale
ai sensi della legge 328/2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali) messo a punto dall’Unità Operativa
di Psichiatria 42 di Rho – Primario: la Dr.ssa Farida Ferrato – in collaborazione
con varie organizzazioni locali (fra le quali la Caritas di Rho e Arese,
L’Associazione Incontrho di Rho, la cooperativa Il Portico) ( *
) e presentato attraverso il Piano di zona ai Comuni del Rhodense
(nell’Altomilanese). I 9 Comuni interessati, che hanno già formalmente
accettato il Progetto “Permesso... disturbo?”, sono quelli di: Rho, Arese,
Cornaredo, Lainate, Pero, Pogliano, Pregnana, Settimo Milanese, Vanzago.
Un
progetto, quindi, che nella formula strategica del “consorzio” fra Comuni
concretizza quel disposto di concertazione territoriale previsto dalla citata
Legge 328, laddove all’Art. 19 la
stessa legge
individua nel piano di zona definito dai comuni associati, d’intesa con le
aziende unità sanitarie locali e secondo le indicazioni del piano regionale, un
preciso strumento operativo nella gestione degli interventi sociali e
socio-sanitari.
Un
progetto di alta valenza sociale, quello di “Permesso... disturbo?” (progetto
che ha richiesto un intero anno di lavori preparatori) per la presentazione del
quale è doveroso, soprattutto nei confronti di quanti non hanno mai avuto
occasione di approfondire l’argomento della disabilità psichica e dei suoi vari
aspetti legati anche al contesto socio-relazionale, soffermarci innanzi tutto
su qualche elemento in più sulle premesse ispiratrici del progetto stesso: ciò
anche per prendere in considerazione alcuni risvolti del disagio psichico fra i
più comunemente sottovalutati e più penalizzanti che per chi quello stesso
disagio lo vive in prima persona (come paziente o come familiare del paziente),
ma anche per fare luce su un potenziale di aiuto, di sostegno e collaborazione
che, spesso già esistente allo stato informale e naturale, può essere
ulteriormente valorizzato. Per approfondire meglio questa complessa
problematica ci siamo recati presso la sede dell’Unità Operativa di Psichiatria
42 di Rho, Primario la Dr.ssa Farida Ferrato, dove ci siamo avvalsi per
l’intervista che segue della cortese disponibilità del Dr. Franco Crenna,
dirigente psichiatra della stessa UOP 42 di Rho, che assieme alla Dr.ssa
Ferrato è fra i principali ideatori del Progetto “Permesso...disturbo”.
≈
Dottor
Franco Crenna, su quali premesse teoriche è basato il progetto “Permesso...
disturbo?” che, va ricordato, è propriamente un Progetto operativo di
inclusione sociale per chi vive il disagio psichico? Quali vantaggi possono
ragionevolmente prospettarsi da un rapporto più ravvicinato tra pazienti
psichiatrici e contesto sociale?
Una
delle premesse teoriche del Progetto “Permesso... disturbo?” che, per
l’appunto, costituisce un Progetto operativo di inclusione sociale ai sensi
della legge 328/2000, ossia la Legge quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali, è che tramite l’attivazione di “reti
naturali” nell’ambito sociale sia possibile migliorare sensibilmente
l’esistenza di chi vive disagi psichici, contrastare gli effetti della
disabilità psichica e anche l’esclusione sociale delle famiglie dei pazienti.
Tali
“reti naturali” o reti di contatti offrono infatti delle forme di intervento
sociale che, per il loro valore intrinseco, di solidarietà, di altruismo, difficilmente
possono esserci nelle strutture istituzionali, e che, proprio grazie alla
specificità del loro valore, possono integrarsi utilmente con il lavoro svolto
da quest’ultime. Al riguardo va sottolineato, e questa è un’altra premessa
importante del Progetto scaturita dall’esperienza professionale a contatto
diretto con i pazienti, che la prognosi della malattia psichiatrica è
sensibilmente legata a tutta una serie di aiuti informali (da parte, in senso
lato, della comunità locale, come pure, più in particolare, da parte del
vicinato, dell’ambiente di lavoro, di varie realtà associative, etc.) che, se
esistono, permettono di limitare vari aspetti regressivi della malattia stessa.
Principio
fondamentale del Progetto “Permesso... disturbo?” è quello della
“sussidiarietà” tra servizi erogati da soggetti istituzionali e servizi erogati
del terzo settore (principio fra i punti essenziali della L. 328/2000: vd. Art.
5, Ruolo del terzo settore / attuazione del principio di sussidiarietà -
n.d.a.), principio che nella sua applicazione pratica richiede
l’attivazione con adeguati corsi di formazione e qualificazione, così come
previsto nel nostro Progetto, di forme di intervento sociale da parte della
comunità che siano parallele a quelle offerte dal servizio sanitario pubblico.
La parte del Progetto 328 della UOP 42 dedicata a questo capitolo (vd.
prospetto “Supportare la domiciliarità: Parallelismi tra i servizi offerti
dalla UOP e quelli attivabili da parte della comunità” - n.d.a.) indica
accanto a ogni servizio di carattere istituzionale delle precise tipologie di
attività, spazi e attori sociali. Sul piano delle modalità di coordinamento del
progetto, in parallelo alle riunioni d’équipe dell’Unità Operativa di
Psichiatria, è indicata la costituzione di un Forum locale per la salute
mentale: tale Forum, come già dimostrano alcune esperienze in atto (a Prato, ma
in particolare in alcune località a sud di Londra), può avere un ruolo molto
importante nell’orientamento delle politiche locali, e può fornire un contributo
prezioso per affrontare meglio i rapporti pubblico-privato.
Da
chi è costituito il Forum per la salute mentale previsto nel vostro Progetto? E
in che modo questo nuovo tipo di “attore sociale” può riuscire a influire sulle
politiche territoriali che riguardano l’erogazione dei servizi
socio-assistenziali?
Il
Forum locale per la salute mentale previsto nel nostro Progetto è costituito da
rappresentanze della Caritas e di altri enti presenti sul territorio, da
rappresentanti di Comuni, Asl e Aziende Ospedaliere, da Associazioni di
familiari, da cooperative sociali di tipo A e di tipo B. Le cooperative sociali
(che nel nostro caso forniscono servizi come quelli di pulizia domestica, di
consegna dei pasti a domicilio, e molti altri servizi legati all’andamento e
alle faccende di casa che difficilmente i disabili psichici riescono a gestire
da soli) sono soggetti importanti di quel privato sociale preso in
considerazione dalla Legge 328 del 2000: sia per ciò che riguarda l’erogazione
di servizi sociali agli enti pubblici, servizi che sono fruibili dietro
concessione di “vouchers” o “buoni d’acquisto” rilasciati dai Comuni (vd.,
della stessa L. 328, Art. 17: Titoli per l’acquisto di servizi sociali –
n.d.a.), sia per ciò che riguarda il coinvolgimento in fase di
programmazione del sistema locale degli interventi e servizi sociali. Questo
nuovo orientamento delle politiche dei servizi sociali, nella fattispecie di un
Progetto com’è quello di “Permesso... disturbo”, un progetto concertato ad
ampio raggio territoriale (interessa 9 Comuni del Rhodense), consente una
mobilitazione sinergica delle risorse presenti sul territorio e, pertanto,
rende possibile ottimizzare, rendere più efficiente, la somministrazione di
servizi sociali. Un nuovo concetto di assistenza, questo, che ha appunto il suo
riferimento nella Legge 328/2000, la quale legge, va sottolineato, prevede che
i Comuni debbano associarsi in progetti di assistenza comuni per non replicare
servizi già esistenti e quindi per evitare sprechi.
Tornando
a quella parte del vostro Progetto dedicata ai parallelismi tra i servizi
“istituzionali” e quelli che possono essere attivati nella comunità, quali sono
i punti più rilevanti degli interventi rivolti ai pazienti psichiatrici?
Sul
piano progressivo dell’intensività degli interventi, il Progetto 328 della UOP
42 “Supportare la domiciliarità” indica: - i facilitatori sociali, cioè persone
che già naturalmente hanno e manifestano disponibilità a offrire aiuto ai
disabili psichici (progetti importanti di “reti naturali” in cui operano figure
di facilitatori sociali sono quelli portati avanti da circa due anni presso
l’Ospedale Niguarda di Milano), gli interventi dei volontari e i gruppi di
autoaiuto (in parallelo ai servizi di visite domiciliari e di colloquio, di
psicoeducazione, di inserimenti lavorativi, svolti dal Centro Psico-Sociale); -
i club house, club spontanei da concepirsi sulla scorta di avviate esperienze
estere, come quella della fondazione Fountain House di New York: circa 1500
pazienti al giorno, e per molti pazienti contratti di lavoro con varie aziende
esterne (l’attività del club house è indicata nel Progetto come parallela a
quella di intrattenimento e socializzazione svolta per circa mezza giornata del
Centro Diurno); - le crisis farm, strutture che, come alcune già avviate in
provincia di Torino e a Stoccolma, prevedono la collocazione in contesti
extraurbani e agricoli e figure molto competenti a contatto con i pazienti
(questo in parallelo ai Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura che si occupano
di degenza per acuti e trattamenti obbligatori); - gli hotel per pazienti
(paralleli ai Centri di Riabilitazione e Terapia); e infine, all’apice della
scala dell’intensività degli interventi: - gli inserimenti eterofamigliari e
gli affidi eterofamigliari (in parallelo, rispettivamente, alla residenzialità
protetta rivolta a piccoli gruppi di pazienti, e all’inserimento in strutture
di Comunità, che erogano interventi intensivi a lungo termine).
L’affido
famigliare di pazienti psichiatrici sarebbe dunque l’obiettivo ‘di traguardo’
del Progetto “Permesso... disturbo”, o comunque, nel lungo periodo, l’obiettivo
più impegnativo di supporto alla domiciliarità... Dottor Crenna, quali sono le
prime considerazioni da fare su questa proposta che perlomeno fra i non addetti
ai lavori lascia probabilmente ancora spazio a molti interrogativi?
Premesso
che l’affido famigliare è certo un obiettivo di grande rilievo nel nostro
Progetto, ma certo non l’unico, e che riteniamo altrettanto rilevanti tutti gli
altri obiettivi intermedi del Progetto, una prima considerazione da fare è che
la risposta residenziale di una famiglia è migliore della risposta che al
disabile psichico può fornire una struttura istituzionale di Comunità. Migliore
per quanto riguarda la prognosi della malattia (come già accennato, è
ampiamente dimostrato che i vari aiuti e contatti di carattere informale
vissuti quotidianamente dal paziente permettono di limitare diversi aspetti di
regressione della malattia psichiatrica), migliore per quanto riguarda l’ambiente,
la capacità di ascolto e di attenzione, la dimensione affettiva e, non per
ultimo, anche per la valorizzazione nel disabile psichico di capacità fino
allora inespresse e che, invece, esercitate e messe in pratica giorno dopo
giorno (poiché l’inserimento in una famiglia può anche prevedere lo svolgimento
di alcuni compiti, come ad esempio l’aiutare in piccoli lavori di giardinaggio)
creano nel paziente anche un senso di appartenenza sociale.
Ma
l’altra importante considerazione da fare su questa risposta sociale di
“supporto alla domiciliarità” è che l’affido famigliare può essere un sollievo
per la famiglia d’origine del paziente, fosse anche temporaneamente. La
famiglia d’origine (ovviamente quando ancora esistente) non sempre infatti è o
si sente in grado di gestire il rapporto col parente affetto da disabilità
psichica, e questo soprattutto nel lungo periodo, quando lo stesso rapporto può
dar luogo a situazioni defatiganti, estenuanti, che vanno al di là delle
proprie capacità anche di resistenza psicologica.
Il
rapporto tra famiglie affidatarie e famiglie d’origine del disabile psichico è
un altro aspetto che richiede molta attenzione: nella grande maggioranza dei
casi, come testimoniano anche le varie esperienze di affido famigliare già da
anni avviate a Lucca e a Collegno (provincia di Torino), si tratta di un
rapporto che bisogna curare a lungo, assiduamente, ma che in genere offre
comunque buoni risultati.
Quali
requisiti sono richiesti a una famiglia che si proponga come affidataria del
paziente psichiatrico? Si tratta di una famiglia “nuova al problema”, oppure di
una famiglia che ha già avuto esperienza diretta di parenti con disabilità
psichica? E quali requisiti (di età, di condizione, di storia familiare)
dovrebbe avere il paziente da proporre in affidamento?
Citando
ancora le esperienze di affido famigliare avviate da anni a Lucca e Collegno
(esperienze che fra l’altro verranno illustrate, nei vari aspetti operativi,
durante il corso di formazione “Accoglienza, ospitalità, affido in psichiatria”
incluso nel Progetto “Permesso... disturbo?”) si tratta in ambedue i casi di
famiglie che non hanno o non hanno avuto pazienti psichiatrici fra i loro
congiunti, ma che sono comunque molto sensibili a questi problemi di sofferenza
sociale perché, nella loro vita, hanno attraversato vicende particolari di
dolore. In alcuni casi può poi capitare che queste famiglie abbiano anche
bisogno di qualche piccolo aiuto in casa, che magari può essere fornito dai
pazienti stessi, e questo si rivela utile perché fa sentire più bilanciato il
rapporto con la famiglia affidataria. Altre volte può anche capitare che le
famiglie abbiano qualche interesse marginale, non prevalente, di tipo
economico, e in questi casi può essere previsto un contributo, un rimborso, che
in larga parte serve a coprire le spese di mantenimento del paziente.
Le
persone affidate possono appartenere a qualsiasi fascia di età. Per quanto
riguarda i più giovani si tratta spesso di persone che possono essere affidate
perché ad esempio la famiglia d’origine spesso non riesce a dare risposte
adeguate oppure non ce la fa più, anche psicologicamente, a gestire la
relazione quotidiana col familiare-paziente (e in questi casi, come già detto,
verrà curato in modo particolare il rapporto tra famiglia affidataria e
famiglia d’origine). Per quanto riguarda gli anziani si tratta in molti casi di
persone che non hanno più alcun famigliare.
Stiamo
comunque cercando di approfondire anche la conoscenza di esperienze di
“scambio” fra famiglie che hanno in casa persone con problemi psichiatrici, in
quanto da esperienze di questo tipo si è visto che le famiglie riescono a
gestire meglio i pazienti che non siano loro parenti (per l’Italia è in tal
senso significativo il progetto “La Comunità che guarisce”, avviato nell’area
di Verona).
Dottor
Crenna, poco fa ha menzionato uno specifico corso di formazione sull’ospitalità
e sull’affido familiare di pazienti psichiatrici, parte integrante del Progetto
“Permesso... disturbo”: a quali figure di specialisti spetterà il compito di
fare formazione su un tema tanto delicato com’è, evidentemente, il tema
dell’accoglienza di questi pazienti? Quali sono le tematiche e gli obiettivi
specifici di questo corso?
Il
corso di formazione “Accoglienza, ospitalità, affido in psichiatria” ( * ), previsto a partire dal
febbraio 2004, costituisce sicuramente una delle attività più avanzate del
Progetto “Permesso... disturbo?” ed è connesso agli sbocchi operativi più
impegnativi. È coorganizzato dalla UOP 42 di Rho e da alcune organizzazioni
locali (Caritas, associazioni di volontariato, cooperative sociali); per quanto
riguarda la UOP 42 è organizzato dal Primario Dr. Farida Ferrato e dall’équipe
di dirigenti psichiatri composta, oltre che dal sottoscritto, dai Dr. Claudio
Di Lello, Dr. Lucia Rubini, Dr. Donatella Ticozzi, Dr. Roberto Cozzi e Dr. Rosy
D’Ambrogio. Va sottolineato che il corso ha la finalità di sostenere e formare
le famiglie che vorranno proporsi per ospitare o prendere in affido un paziente
- queste famiglie costituiscono per l’appunto il target principale del corso -
ma ha anche la finalità di formare in modo più apertamente operativo sia
volontari sia facilitatori sociali alla percezione dei bisogni di
“cittadinanza” dei pazienti psichiatrici. Questo corso di formazione, che è un
corso di 2° livello e con accesso prioritario per chi avrà seguito il corso di
1° livello “Volontari in psichiatria” ( * ), intende far conoscere, in
particolare, elementi intorno alla clinica e alla casistica psichiatrica, alle
esperienze pubbliche e private nel campo del supporto alla domiciliarità e
della residenzialità, con particolare attenzione alle pratiche più innovative.
(*) Per ulteriori dettagli sui due corsi di
formazione si rimandano i lettori ai due relativi Prospetti del presente
servizio – n.d.a. Corso di 1° Livello >>> -
Corso di 2° Livello >>>
A
che epoca risalgono le prime esperienze e le prime forme di affido famigliare
di pazienti psichiatrici fatte in Italia?
In
Italia le prime esperienze di affido famigliare di pazienti psichiatrici
risalgono a metà Ottocento, quando sorsero sulla scia d’entusiasmo per le
esperienze di affido già allora avviate a Geel (località belga che ha una
tradizione storica in questo campo) ma soprattutto come fenomeno di contrasto a
quello che allora era il problema di grave sovraffollamento degli ospedali
psichiatrici. Un problema tanto incontenibile che spinse molti degli infermieri
che lavorano in quegli ospedali a portare con sé, nello proprie case private
(allora distribuite in piccoli villaggi di campagna costruiti proprio accanto
l’ospedale psichiatrico), un paziente a turno, che dagli stessi infermieri, in
cambio di un piccolo compenso corrisposto dalla struttura pubblica, veniva poi
regolarmente aiutato e sostenuto in tutte le sue necessità. == >
Questa
situazione venne poi istituzionalizzata con la Legge nazionale 36 nel 1904,
legge che consentiva la cura in casa privata e che (essendoci allora il
problema giuridico dell’interdizione per le persone internate nei manicomi)
prevedeva esplicitamente l’assunzione di responsabilità nei confronti del
paziente. Da allora, l’accoglimento di pazienti psichiatrici in abitazioni private
cominciò a diventare un fenomeno abbastanza diffuso, soprattutto in Toscana,
regione che ha tradizionalmente mantenuto questo tipo di esperienza e che
decenni più tardi - quando ormai abrogata, nel ’78 con l’entrata in vigore
della Legge 180, la Legge nazionale 36 del 1904 e rimasto in vigore il solo
Decreto Reale 615 del 1909 sull’inserimento eterofamigliare di ammalati
psichiatrici adulti – si dotò di un’apposita Legge regionale, la LR 28 del
1980. L’altra regione italiana che ha mantenuto viva, nel tempo, l’esperienza
di accogliere in casa il paziente psichiatrico è il Piemonte, anch’essa
dotatasi più tardi, nel 1995, di apposita Legge regionale.
La
Legge 180, per l’appunto: in che relazione si pone, o si è posta, con lo
spirito di questa legge la questione dell’affido famigliare di pazienti
psichiatrici?
L’interesse
all’affido famigliare dei pazienti psichiatrici si è paradossalmente un po’
spento proprio nell’epoca della legge 180. La chiusura dei manicomi avrebbe
dovuto semmai potenziare questi meccanismi di risposta sociale, di reti
naturali, invece sono prevalse paure di approfittamenti e di abusi su queste
persone ammalate, con il risultato che le esperienze di inserimenti
eterofamigliari di pazienti psichiatrici si sono numericamente molto ridotte e
che sul piano legislativo generale non è stato previsto niente. Indubbiamente
molti approfittamenti ci sono stati, soprattutto perché non ci sono stati i
controlli, o comunque ci sono stati controlli insufficienti. Quindi
probabilmente avere delle preoccupazioni anche su questo tipo di assistenza è
comprensibile, ma sempre tenendo presente l’importanza che possono avere dei
controlli adeguati.
Come
sono organizzati, sul piano delle verifiche e dei controlli, i modelli di
affido eterofamigliare già avviati a Collegno e a Lucca?
Il
modello di Collegno è molto controllato dal servizio socio-sanitario pubblico:
i pazienti in affidamento famigliare vengono visitati 2-3 volte nel corso di
ogni settimana, e si fanno quindi delle assidue verifiche sul loro stato. Ciò
permette di individuare da subito anche le manifestazioni di eventuali stati di
crisi e di intervenire in tempo; in tali casi, ad esempio, si provvede a far
ospitare temporaneamente il paziente presso una crisis farm (una struttura
condotta da operatori molto competenti, collocata in contesti tranquilli
extraurbani, e parallela, come già spiegato in precedenza, ai Servizi
Psichiatrici di Diagnosi e Cura). Quello di Collegno, oltre ad essere un
modello molto controllato, è anche un modello fondato su precisi obiettivi,
quali soprattutto quello di far recuperare al paziente la sua autonomia (fermo
restando che, anche dopo il raggiungimento dell’autonomia, il paziente
continuerà a far parte di altre “reti naturali” di contatti e potrà contare su altre
attività di ‘supporto alla domiciliarità’). Per questo motivo gli affidi
famigliari che di volta in volta vengono avviati a Collegno (ove è operativo un
vero e proprio Centro Affidi) sono spesso a termine: prevedono un periodo di
affidamento che va da circa 6 mesi ai 2 anni al massimo. Non oltre, perché
l’obiettivo, sempre secondo l’impostazione di questo modello, non è quello
dell’adozione. Il modello di Lucca ha invece una filosofia diversa riguardo
alla possibilità di adozione, poiché viene considerato un successo il fatto,
che non di rado si verifica (e che si è verificato anche in un periodo in cui
sono mancati i fondi per il rimborso del mantenimento), che la famiglia
affidataria, una volta scaduto il termine previsto dell’affidamento, chieda di avere
con sé il paziente in modo permanente: cosa, questa, che viene considerata la
dimostrazione che nel corso del tempo si è instaurata una relazione stabile,
anche di tipo affettivo, tra famiglia affidataria e paziente.
Dottor
Crenna, quali conseguenze d’ordine economico comporta per l’amministrazione
pubblica la diffusione dell’affido famigliare dei pazienti psichiatrici? E
l’attivazione del Progetto “Permesso... disturbo?” su quale impostazione si
basa fondamentalmente?
Un
aspetto non trascurabile della diffusione di questo tipo di affido è che essa
costituisce un indubbio vantaggio per l’amministrazione pubblica dal punto di
vista economico: i costi dell’affido famigliare di un paziente psichiatrico
rappresentano circa 1 decimo dei costi relativi all’inserimento in una
Comunità. Per di più, torno a sottolinearlo, in un contesto famigliare
improntato alla reciprocità di attenzione, di vicinanza, di affetto, la
malattia psichiatrica ha una prognosi migliore, e nel paziente psichiatrico
aumenta considerevolmente il senso di appartenenza sociale. Quindi, l’affido
famigliare di un paziente psichiatrico ha un costo enormemente ridotto e, per
contro, offre molti benefici importanti.
Per
quanto riguarda, infine, l’impostazione che sta alla base dell’attivazione del
Progetto “Permesso... disturbo?”, va rilevato che questo progetto è stato
studiato e definito all’insegna della massima sinergia possibile fra tutte le
sue fasi operative e fra tutte le risorse che prevede di mobilitare: questo,
nella realizzazione, si traduce in un potenziamento reciproco dei risultati - e
quindi degli obiettivi - che ogni singola parte del progetto si propone di
raggiungere. Si tratta pertanto di un progetto ad attivazione globale, e che ci
consentirà di verificare come il territorio comunale avrà risposto e avrà
graduato le sue disponibilità.
Note:
per il
testo sul web della L. 328/2000 "Legge quadro per la realizzazione del
sistema integrato di interventi e servizi sociali" si rinvia al sito
del Parlamento italiano, alla pagina: http://www.parlamento.it/parlam/leggi/00328l.htm
Estratto
- Il manifesto del Progetto “Permesso... disturbo?” Comuni del Rhodense – Unità Operativa di
Psichiatria 42 Progetto operativo di inclusione sociale ai sensi
della legge 328/2000 |
In
partnership con (in
ordine alfabetico): associazione
culturale Le Groane associazione
la Maiella – sez. poetica La Spera associazione
Incontrho associazione
La Svolta associazione
Porte Sempre Aperte associazione
Psiche Lombardia ASVAP –
Monza Caritas
cittadine di Rho, Arese Coordinamento
cooperative sociali del Rhodense Coop. Sociale Full Monthy Coop.
Sociale Il Portico Lions Club Rho Lilly farmaceutici Progetto
Itaca WWF
Vanzago |
-
Sensibilizzazione alle tematiche del disagio psichico -
Promozione di scambi culturali e artistici sul tema -
Diminuzione dello stigma sociale della malattia mentale -
Formazione di gruppi di volontari -
Formazione di facilitatori sociali -
Avvio di affidi eterofamigliari di pazienti psichiatrici -
Costituzione di una club house -
Costituzione di un Forum locale per la salute mentale |
Parliamo
di matti? –
Rassegna cinematografica Il
disagio dell’inchiostro – Premio
di poesia Progetto
scuole –
Tirocinii in psichiatria e attività d’arte Volontari
in psichiatria – Corso
di formazione di 1° livello Abitare
nelle reti. L’unità operativa di psichiatria come impresa. –
Convegno Accoglienza,
ospitalità, affido familiare in psichiatria. – Corso
di formazione di 2° livello |
Comune di
Rho CPS di Rho, tel. 02-99.43.01 (centr.) / 02-99.43.03.385 / 02-99.43.03.386Sito web: www.permessodisturbo.org |
Prospetti informativi / Estratti CORSO DI
FORMAZIONE DI 1° LIVELLO Rif.:
Unità Operativa di Psichiatria 42, Progetto operativo di inclusione sociale
ai sensi della L. 328/2000 Il corso è coorganizzato dalla UOP 42 di Rho e da
alcune organizzazioni locali (Caritas, associazioni di volontariato,
cooperative sociali). Ha la finalità di formare sia volontari sia
facilitatori sociali che operino nel campo psichiatrico (nei confronti di
persone affette da disturbi psichiatrici). Destinatari del corso: sia singoli
individui, sia soci o membri di organizzazioni associative e di volontariato
che intendano acquisire maggiori e più specifiche competenze nel campo
psichiatrico. Tematiche
generali: il corso intende far conoscere elementi intorno alla clinica e alla
casistica psichiatrica, alle strutture operative pubbliche esistenti, alle
esperienze private, alle pratiche innovative in atto da parte delle famiglie
(gruppi di autoaiuto, attività associative), all’esistenza di cooperative,
alle esperienze di inserimento lavorativo, ecc. Fra i
temi previsti: - “Il volontario,
l’intenzionale, l’inconscio: come lavorare con il disagio psichico”; - “Le
psicosi e le nevrosi: note di clinica psichiatrica”; - “Le strutture dei
servizi di psichiatria: presentazione della UOP 42”; - “Le risposte al
disagio: le associazioni dei famigliari”; - “Le risposte al disagio: le
cooperative di tipo A e B”; - “Gli ideali, le depressioni, il feticismo, le
fobie nelle relazioni interpersonali e nelle relazioni d’aiuto”. Lezioni
da ottobre 2003 a gennaio 2004 (inclusa verifica). Per
ulteriori informazioni: CPS Rho, tel. 02-99.43.03.385 / 386 _______________________________________________________________________________________________ Accoglienza,
ospitalità, affido familiare in psichiatria. CORSO DI
FORMAZIONE DI 2° LIVELLO Rif.:
Unità Operativa di Psichiatria 42, Progetto operativo di inclusione sociale
ai sensi della L. 328/2000 Il corso
è coorganizzato dalla UOP 42 di Rho e da alcune organizzazioni locali
(Caritas, associazioni di volontariato, cooperative sociali). Destinatari del
corso sono sia i singoli individui, sia soci o membri di organizzazioni
associative e di volontariato che intendano acquisire maggiori e più specifiche competenze nel campo
psichiatrico, soprattutto in relazione alle nuove accezioni di
residenzialità. Il target prioritario è in ogni caso costituito dalle
famiglie aspiranti ad accogliere, come ospiti o in affido, i pazienti
psichiatrici. Tematiche
generali: - elementi di clinica psichiatrica; - elementi di casistica
psichiatrica; - esperienze pubbliche e private nel campo del supporto alla
domiciliarità e nel campo della residenzialità, con particolare attenzione
alle pratiche innovative. Gli
obiettivi principali del corso includono: - maturazione motivazionale ad
operare nel campo del supporto alla domiciliarità di pazienti gravemente
disturbati; - acquisizione di conoscenze operative al riguardo; - affinamento
della capacità di articolare i propri obiettivi individuali con quelli
operativi e di gruppo; - nascita di specifici gruppi di volontari in tale
settore; - progettazione della nascita di un club house per pazienti
psichiatrici. Lezioni
da inizio febbraio 2004 a fine marzo 2004 (inclusa verifica). Per
ulteriori informazioni: CPS Rho, tel. 02-99.43.03.385 / 386 |
Scheda (Fonte:
Unità Operativa di Psichiatria 42) Note storiche sull’affido
familiare in Italia 1854 - Serafino Biffi,
dopo una visita a Geel: Una visita a Geel
«modificherà grandemente l’opinione di coloro che credono che a un pazzo non
si possa dare altro di meglio di un manicomio.» A Geel poteva essere messa
in atto la «vera cura morale»; metodo parallelo all’istituto del manicomio,
in grado di occuparsi di quelle categorie di alienati che non possono
giovarsi delle «monotone abitudini» caratterizzanti le giornate dei reclusi
negli asili. 1878/79 – Andrea Verga,
inaugurazione anno psichiatrico: “Il manicomio e la famiglia”:
vedeva ...«buone possibilità di giovamento qualora venissero affidati a
famiglie». Sostiene il modello di Geel con qualche lieve modifica. 1903 – Aroldo Tamburini: “Sui vantaggi del
trattamento famigliare e gli inconvenienti di quello manicomiale in alcune
forme di psicosi acute”: «in alcuni casi di
alienazione mentale, il mantenimento al manicomio dell’infermo non solo non
giova al buon esito della malattia, ma ritarda la guarigione e qualche volta
può comprometterla definitivamente ...in questi casi alla malattia prima se
ne aggiunge una seconda, cioè una fobia fornita dall’ambiente, la quale
tenacemente incalza lo spirito dell’ammalato, si sovrappone alla prima
infermità, e, per la sua ossessione tirannica, ne impedisce la risoluzione. ...in molti casi la pura assistenza
familiare può bastare .. a favorire il decorrere della malattia verso la
guarigione, senza che restino al malato e alla famiglia i più penosi
ricordi.» |
Inquadramento normativo ·
Legge nazionale 36 del 14/2/1904 (abrogata
nel ’78 dalla legge 180): ·
Decreto Reale 615 del 1909 (tuttora in vigore):
regolamenta in maniera dettagliata l’inserimento eterofamigliare di ammalati
psichiatrici adulti. ·
Leggi regionali attualmente in vigore: -
Regione Piemonte: LR 62/95; DCR 357 - 1370/97 -
Regione Toscana: LR 28/80; LR 42/92 -
Regione Sardegna: LR 15/92; LR 20/97 -
Regione Sicilia: LR 22, a. 72 Legge Crispi; a. 433 cc. |
Marina Palmieri
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Bollettino Cardiologico n. 119, Novembre-Dicembre 2003
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