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Handicap, normalità e il mito della perfezione.

 

- di Marina Palmieri - Info Pubblicazioni, "Handicap, normalità e il mito della perfezione."
Marina Palmieri, www.COMUNICARECOME.it

 

 

La “normalità” guarda solitamente all’"handicap” con disagio e fastidio, come a qualcosa che non debba riguardarla. Ma l’handicap è la punta di un iceberg, poiché rappresenta l’eccesso di un’imperfezione: a) un’imperfezione fisica di cui madre natura non ha esentato nessuno (miopia, scoliosi, psoriasi, tanto per fare degli esempi, non sono che imperfezioni in minor stile, ma solo per carità o imponderabilità del destino, di più gravi menomazioni fisiche); b) un’imperfezione psichica che, data l’alta complessità del sistema neurovegetativo umano, pare non escluda nessuno (nevrosi, tic, alterazioni della personalità rappresentano le sorelle minori di disturbi psichici meno celabili e meno rassicuranti). L’imperfezione, insomma, fa parte della vita stessa che, fondamentalmente, è una sfida biologica, psichica e morale continuamente agita nei confronti del grande Caos (o Caso, o Destino) che l’ha generata.

Ben lo sanno non solo la medicina e la psichiatria, ma anche le menti più illuminate della scienza e della filosofia, eppure, mentre la Levi-Montalcini e altri suoi eminenti colleghi della neurobiologia tessono l’«Elogio dell’imperfezione», ben altra convinzione instillano fra la gente i grandi comunicatori dei media: quella della perfezione a oltranza, in cui tutto è assolutamente smagliante, irreprensibile, volgarmente patinato e compiuto. Sarebbe un male minore se questo “complesso della perfezione” rimanesse nell’ambito del puro intrattenimento, ma anche la trattazioni di questioni più impegnative passa troppo spesso attraverso toni saccenti e linguaggi del corpo artatamente disinvolti, attraverso nuovi culti di fitness e baldanzosità fisica proposti come imperativi alla massa dei mortali. Il guaio è che tutto questo ha i suoi riflessi nella quotidianità, fino a distorcere la percezione del rapporto diretto col prossimo.

Cosa c’entra tutto questo con l’handicap? La risposta è che c’entra, e molto: perché il passo dal culto dell’immagine alla vita reale e di relazione è breve, e il mito della perfezione irreprensibile (parente stretto dei complessi di superiorità, dei deliri di narcisismo e d’onnipotenza) può alimentare a dismisura un meccanismo di rimozione nei confronti di tutto quanto è handicap e non esteticamente “normalizzato”.

Ma l’handicap, per l’appunto, rappresenta esponenzialmente quella parte di imperfezione che tutti abbiamo e ci portiamo dentro, e in questo senso è il nostro specchio: riflettiamoci in esso, ogni tanto, e cerchiamo di guardare al corpo straziato di un nostro simile o alla bizzarria della sua costituzione psichica come alla manifestazione più lampante di un ineludibile aspetto dell’esistenza di tutti noi, l’imperfezione. Solo la lucidità e l’umiltà di questa consapevolezza ci ridaranno il senso dell’unitarietà dell’essere, fatta di luci e di ombre, di tristezze, gioie e fatiche.

 

 

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Info Pubblicazioni:

- l’Informatore Vigevanese, 11 aprile 1996

 

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