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La vita come prima opera d’arte

 

- di Marina Palmieri - Info Pubblicazioni, "La vita come prima opera d’arte"
Marina Palmieri, www.COMUNICARECOME.it

 

 

Quella del rapporto fra inconscio e creatività è un’antica e controversa questione, da sempre postasi con forza all’attenzione degli osservatori. Quella, più in particolare, del rapporto fra psicolabilità, psicosi latente, ovvero stato «borderline» da una parte ed espressività artistica dall’altra è invece questione rimasta spesso all’ombra dei grandi fraintendimenti culturali e di un ostracismo sociale non di rado comprendente anche l’internamento manicomiale (ricordate il film sulla scrittrice Camille Claudel?).

I nostri tempi ci hanno posto con forza le vicende della poetessa Alda Merini, anche se stento a considerare il suo caso come uno dei più autorevoli dal momento che l’internamento è andato assumendo una funzione di catalizzatore promozionale alquanto debordante rispetto ai meriti intrinseci della sua produzione letteraria. Casi tragicamente celebri a parte, va tenuto presente che l’artista (nell’accezione più ampia del termine) è necessariamente una figura umana complessa, con una logica e un apparato psichico tutti suoi particolari, evidentemente non assimilabile alla tipologia della «normalità».

Più generalmente parlando, va ricordato che il rapporto tra questo substrato di complessità psichica e la creatività è stato per molto tempo considerato più alla stregua di fenomeno morboso che non come indicatore umano, e quindi intellettuale e spirituale, di tutto rispetto e dignità. Solo negli ultimi anni è emersa, anche in Italia, una consapevolezza specifica su questo delicato gioco dinamico e si assiste a una proliferazione di apprezzabili studi sull’argomento. Stanno fiorendo dibattiti, convegni e riviste specializzate che, partendo dall’osservazione diretta del fenomeno della creatività artistica, disaminano gli intricati rapporti intercorrenti fra questa e la psiche: il tentativo è quello di analizzare le interrelazioni profonde fra le due dimensioni senza assumere, però, pregiudizi negativi né, tanto meno, positivi (ci mancherebbe altro che si avvalorasse un’opera artistica perché prodotta da una mente eccentrica, da uno spirito provato, e addio al minimo senso critico!). La sfida, più precisamente, è quella di individuare la sottile linea di demarcazione che, a parità di stato psichico, di carico ansiogeno-depressivo, di disturbi d’origine, fa sì che un artista resti intrappolato nel tunnel dell’autodistruzione (di cui la volontà di suicidio non è che l’apice visibile) e che un altro escogiti invece una sua propria, autonoma (quindi autenticamente creativa), modalità di sopravvivenza e di «scatto» esistenziale.

Fra gli psicoanalisti italiani del nostro tempo più impegnati sull’argomento – che non a caso sono anche fini conoscitori di arte, letteratura ed estetica – possiamo citare Sergio Premoli, Gustavo Pietropolli Charmet, come già Franco Fornari (fondamentale, nelle sue teorizzazioni, il valore dell’aggressività) e Cesare Musatti (specie per i suoi studi sulla percezione e la forma). Ma fondamentali restano gli approdi delle menti più illuminate della British Psycho-Analytic Society; oltre a Freud (teoria dell’angoscia, dualità dell’istinto di vita e di morte) vanno ricordati Melaine Klein, Edward Glove e, soprattutto, Donald Woods Winnicott: il gioco, lo spazio transizionale e l’esperienza culturale, la concettualizzazione del vero e del falso «Sé», l’ambiente «facilitante» e il significato di «normalità» rimangono concetti insostituibili nell’ambito degli studi sulla creatività e sull’arte. M. Masud R. Khan, uno degli psicanalisti contemporanei più prestigiosi, rimarrà probabilmente il più brillante continuatore dell’opera winnicottiana sulla creatività. È a Masud Khan che si deve la formulazione del «rimanere a maggese»: requisito indispensabile, questa condizione di ascolto interiore, di quiescente solitudine, per rendere creativa primariamente la relazione sia col proprio «Sé» che con l’altro da «Sé», e quindi con la stessa pulsione artistica.

È a queste intuizioni geniali di Winnicott e del suo continuatore, veri e propri artisti dell’anima e dell’avventura della vita interiore, che la moderna psicoanalisi sulla creatività – dopo la denuncia della ridondanza dei falsi miti, dopo aver preso le distanze dal confezionamento del tempo libero dell’uomo, dall’industria della distrazione a tutti i costi – sta anche in Italia attingendo a piene mani. Si comincia forse a capire che la creatività, prima ancora che un quadro, una scultura, una sinfonia, è innanzitutto un modo di essere e di guardare al mondo esterno, è un modo, come lo stesso Winnicott amava ripetere, di «godere nel respirare». Perché «La creatività … è un universale. Appartiene al fatto di essere vivi».

 

 

 

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Info Pubblicazioni:

- l’Informatore Vigevanese, 21 marzo 1996

 

 

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