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La guerra, il pane, la poesia.
Per il tramite della Biblioteca di Pola è stato possibile, quest’anno (1996 – n.d.a. aggiunta), convogliare in campo poetico voci e stati d’animo dei ragazzi dei campi profughi dell’ex Jugoslavia. Il 2 giugno, a Monza, la parola di questi giovani si confronterà con quella di molti coetanei monzesi. Va innanzi tutto sottolineato il fatto che un’iniziativa di tale portata sia stata promossa dalla provincia milanese: un fatto che la dice lunga su quanto certi progetti umanitari trovino a volte il loro humus ideale al riparo dei clamori dei grandi supermarkets culturali metropolitani, in un clima più raccolto e “comunitario”.
A parte questo, avendo avuto modo di parlare col Presidente della giuria esaminatrice vorrei esporre ai lettori alcune considerazioni emerse in merito ai testi. Orrore della guerra, smarrimento, lutto: soprattutto su questi temi si sono cimentati i giovani autori. Mentre gli italiani, tuttavia, ne facevano una rappresentazione scontata anche negli accessi d’indignazione, gli ex Jugoslavi, nei mesi scorsi, andavano imprimendo sulla pagina il graffio di un dolore a fior di pelle, l’urlo di una ferita aperta: esito, del resto, ben immaginabile quando in gioco c’è l’esperienza della guerra vissuta direttamente, e non per sentito dire.
È proprio da questa annotazione tanto banale quanto necessaria che parto per rilevare, oltre a quella maggiore forza intrinseca dei messaggi poetici, anche una lampante superiorità espressiva ed estetica dei ragazzi di quei campi profughi. Per non dilungarmi, ricordo solo che in certi Paesi (come, notoriamente, quelli dell’Europa dell’Est) la poesia è pane quotidiano nell’educazione e che in casa, mentre magari si stentava a cenare con qualcosa che fosse poco più che cavoli e patate, un libro di poesia non è mai mancato.
E infine, un’altra considerazione, stavolta decisamente polemica. Ho sentito da più parti riaffermare che “quando scoppia la guerra svaniscono non solo gli esaurimenti nervosi ma anche certe ‘fisime’ esistenzialistiche e poetiche”: affermazione molto offensiva e fuorviante che però ci ricorda come certi loschi figuri tentino di gettare discredito sull’anima più sensibile dell’umanità, fomentando nel contempo larvate mistificazioni guerrafondaie.
Mentre auguro a costoro di tornare ben presto ai banchi di scuola per un corso accelerato di storia della letteratura ma anche per uno intensivo di igiene mentale, ringrazio quei ragazzi offesi, brutalizzati, resi orfani dalla guerra che testimoniano a tutti come un autentico sentimento poetico possa trasformarsi in mezzo concreto per procedere col cuore spezzato, sì, ma a testa alta nel corso impazzito della Storia.
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- l’Informatore Vigevanese, 30 maggio 1996
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