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Per un sapere a piene mani
Con certe discussioni in materia di riassetti scolastici si è riaccesa, di recente, la polemica: manualità sì, manualità no, formazione umanistica da una parte, formazione professionale dall’altra. E con questo tipo di polemica ne è di fatto riemersa una di carattere ancora più generale fra chi, da un lato, caldeggia un assoluto distacco dell’uomo di cultura da tutto quanto è manuale e chi, dall’altro, considera marginale per l’uomo “pratico” il sapere umanistico. Quasi che le facoltà dell’individuo funzionassero a compartimenti stagni.
Già nel 1959 lo scienziato e narratore inglese Charles Percy Snow denunciava con preoccupazione, nel famoso saggio “Le due culture”, la frattura fra scienza e valori umanistici nella civiltà moderna, spiegando come questa separazione avesse generato uomini di “monocultura”, con ignoranze abissali nell’uno e nell’altro campo. Come per gli uomini di lettere non conoscere i princìpi della termodinamica o, per gli scienziati, non essere a conoscenza della Divina Commedia?, rincalza oggi il matematico e poeta Gabriele Ghiandoni (sul n. 61 della rivista “L’area di Broca”), che pure ricorda quanto la verità – quindi il sapere, la conoscenza – sia sempre una “verità dinamica”, che passa attraverso le ricerche ora della scienza, ora della letteratura, ora della tecnica, e comunque in ogni campo dell’intervento umano.
In tutto ciò la manualità (che non va semplicisticamente ridotta alla capacità, pure importante, di aggiustare un rubinetto o una presa elettrica) gioca un ruolo tutt’altro che subalterno: allena i meccanismi della mente, è pungolo per l’immaginazione e, già nel suo piccolo, avvicina alle leggi che reggono l’universo. Questo è peraltro l’insegnamento di più alta pedagogia scientifica del nostro secolo come, un nome per tutti, quella di Maria Montessori.
È paradossale perciò che, mentre sono proprio le menti più illustri a parlare di “cultura” secondo un’ottica che (ri)comprenda, con pari dignità, il sapere umanistico, scientifico e tecnico, tanta parte degli uomini sedicenti “dotti” mostri ancora tanta diffidenza e preconcetti negativi verso la scienza e la ricerca applicativa che parte proprio da una confidenza con la manualità. Dimenticando che l’uomo è un meccanismo altamente complesso che si evolve al meglio quando tutte le sue facoltà sono armoniosamente combinate fra loro. E poi, occorrerebbe chiedersi: cosa sarebbe mai stato l’estro di un Michelangelo, di un Canova, di un Paganini, senza la possanza e il virtuosismo della manualità? E un Leonardo, infine, non sarebbe rimasto inorridito di fronte a tanta sterile separatezza delle facoltà umane?
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- l’Informatore
Vigevanese, 12
settembre 1996
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