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Psicoanalisi e morte
nucleare
Intervista a Gustavo Pietropolli
Charmet (nota
in calce: Prof. G. Pietropolli Charmet,
psicoanalista, docente di psicologia dinamica presso l'Università Statale di
Milano) a
cura di VITTORIO AMODEO e
MARINA PALMIERI
Malvagia: È
noto che negli arsenali mondiali sonno immagazzinate bombe nucleari in
quantità tale da distruggere molte volte ogni traccia di vita sulla Terra.
Inoltre è tale la sofisticazione delle armi e dei sensori che, a prescindere
dalla volontà umana, la catastrofe potrebbe verificarsi per un errore. Di
fronte a questa situazione, nuova nella storia dellfumanità, la psicoanalisi
ha qualcosa da dire? Charmet: Penso che possiamo fare solo delle
perlustrazioni perché, a parte il gruppo di Fornari
(il gruppo che si è creato nella Società Internazionale di Psicoanalisi, e
che si è interessato della guerra; cfè stato anche nellfultimo convegno
internazionale un settore dedicato al problema della guerra) a parte questo
gruppo non è molto vasta né la ricerca psicoanalitica né lfinteresse
propriamente clinico. Dfaltra parte queste perlustrazioni sul macrosociale
sono più di natura sociologica, antropologica che non specificamente
psicoanalitica, anche se poi molti psicoanalisti si confrontano su questi
scenari della mente collettiva. Quello che sembra difficile realizzare a
livello di presa collettiva è lfimmanenza di un lutto cosmico. Per
i movimenti pacifisti sarebbe legittimo aspettarsi una mobilitazione di
carattere molto più generale di quanto non avvenga. Come mai è così difficile
elaborare in modo preventivo questo lutto nella coscienza individuale, e
quindi poi nella coscienza del collettivo, e confrontarsi con la prospettiva
della morte della specie, in sostanza con la morte nostra attraverso la morte
dei nostri figli e della nostra prosecuzione sul pianeta? Si tratterebbe
effettivamente di farsi carico a livello politico, a livello collettivo di
una qualche forma di elaborazione preventiva del lutto che innescasse quei
movimenti riparatori, quei riti funerari che sul versante progressivo
realizzano effettivamente forme di sopravvivenza. Ma prendiamo certe forme di comunicazione
di massa che avrebbero lfintenzione di indurre a pensare ed elaborare
preventivamente il lutto, cioè prendere delle misure riparative
atte a evitare la morte dei figli: per esempio il film «The day after». A me sembra che il
film tradisca una forma maniacale di elaborazione del lutto, perché gran
parte degli spettatori sono indotti attraverso questa fantasiosa
ricostruzione del «giorno dopo» ad essere piuttosto curiosi e forse con
lfacquolina in bocca di poter partecipare a un nuovo western, a una nuova
epopea. Sono operazioni culturali che in qualche modo tradiscono la
sostanziale incapacità di riparare e di elaborare preventivamente il lutto,
somministrando sotto forma di film western una nuova epopea della specie che
ricomincia da capo e che può anche essere stimolante per il bambino interno
nostro, che dice: va bene, tutti morti, però naturalmente io sarò uno dei
pochi sopravvissuti. Il messaggio del film in fondo non è così angoscioso
come a livello manifesto può sembrare: tutti morti, distrutti, se non muoiono
subito muoiono dopo devastati da malattie, però lferoe se la cava e la
tendenza, da che mondo è mondo, è di identificarsi con i sopravvissuti e non
con quelli che ci rimettono la pelle. Allora, uno dei problemi mi sembra
questo: cosfè che impedisce di elaborare preventivamente il lutto? Qui forse per analogia si può pensare a
quello che è successo in altri ambiti dove invece il lutto, la devastazione,
la possibile morte delle cose ha suscitato nel collettivo un movimento
riparatore. Quando sono arrivato a Milano venticinque anni fa cfera lo smog,
il cielo era giallo, non si poteva stendere la biancheria, quando si usciva
la macchina era nera, non si respirava. Adesso si respirac
cioè sono state prese delle contromisure di fronte alla verifica da parte di
tutti degli effetti di un attacco avido e pieno di cupidigia alla natura. Lo
sviluppo tecnologico, le macchine, i riscaldamenti provocavano un attacco
grave alla madre terra e di fronte ai primi segni del fatto di aver rovinato
la terra, di averla devastata e inquinata, si sono attivati in qualche modo a
livello di piccoli gruppi e poi via via a livello
collettivo quei movimenti riparativi che poi a livello politico, a livello
legislativo hanno comportato contromisure, come i depuratori: tutte
elaborazioni in qualche modo preventive del lutto eventuale di rimanere senza
natura. Si è cominciato a prendere qualche misura rispetto allfolocausto
della natura, ma questo perché in qualche modo è stata offerta la possibilità
di elaborare dei sintomi di tutto questo: è partito un movimento che ha
cominciato a immaginarsi come responsabili del matricidio. Come figli della
terra di averle prima rubato tutto dai visceri (petrolio, materie prime ecc.)
e quindi di aver sporcato dappertutto come i bambini incontinenti; di averla
fatta invecchiare e avvizzire anzitempo. Così nella relazione figli-genitori, anche
in una situazione di turbolenza in fase contestativa adolescenziale, una
malattia del genitore può innescare un movimento riparativo
dellfautorevolezza e quindi un nuovo trend, in cui anche il vandalo
precedente in qualche modo si trasforma in un personaggio. Ma cfè bisogno di
qualche indizio della propria colpevolezza. È solo questo che in qualche modo
consente di innescare dei movimenti riparativi, nei quali si dice: va bene,
allora aggiusto, allora voglio regalargli la vita, allora lo sostengo, in
qualche modo lo rimetto a nuovo, pulisco la relazione, ritiro lfaggressività,
lfinvidia e tutti i vandalismi irrazionali. Chernobyl e altri avvenimenti
recenti mi sembra che abbiano consentito un movimento che poi si è espresso
anche a livello politico, perlomeno alcuni partiti hanno riveduto le
possibili conseguenze nefaste delle proprie scelte. È successo un grave
disastro, ma rispetto allfolocausto nucleare è stato acqua di rose; eppure
vfè stata una presa di coscienza che si è espressa poi a livello politico;
analogamente a quanto succede, mi sembra, nello sviluppo dellfindividuo che
si confronta col problema della morte, col problema della malattia, tutti
fenomeni che comportano comunque lfelaborazione delle proprie colpe. Malvagia:
Dunque la prevenzione dellfolocausto
nucleare dovrebbe essere ricavata da unfoperazione mentale, in quanto
lfolocausto non può essere dimostrato da fatti parziali premonitori (almeno
ci auguriamo che non lo sia). Lfoperazione deve essere fatta naturalmente, e
a livello di popolazione, di massa, cfè forse una certa impreparazione. Charmet: Cfè
appunto un cemento duro, in quanto il rito funerario e lfelaborazione di una
nuova religione che ci metta al riparo dallfeventualità di morire tutti
quanti davvero può decollare soltanto se cfè la possibilità di rappresentarsi
a livello individuale e a livello collettivo la vicenda. Ora, contro il
rappresentarsi in modo ragionevole degli scenari possibili (che non abbiano
appunto questo sapore da film western) credo che ci siano delle difficoltà a
livello individuale. Lfassunzione di una reale attitudine responsabile nei
confronti degli oggetti è legata allfintensità del sentimento di colpa
soggiacente, per cui il confrontarsi con una situazione di colpa reale viene preconsciamente ritenuto un elemento catastrofico, quindi
evitato in tutti i modi. Malvagia:
Cfè, insomma, una specie di rimozione di
questa responsabilità? Charmet: Cfè
di sicuro, a livello individuale e a livello collettivo. E chiaro che per
vincere la rimozione ci vuole uno stimolo. Stimoli come questi sono
pericolosi come quelli di Chernobyl, però la loro elaborazione mi sembra che
abbia dimostrato che esiste una reazione: la richiesta di chiudere le
centrali nucleari. Malvagia:
Se una persona ne affronta unfaltra con un
bastone ciò può trovare delle spiegazioni, ma se si accingesse ad attaccarla
con decine di mitragliatrici e cannoni in modo da ucciderla migliaia di volte
questo potrebbe entrare nella dimensione della follia. Non crede sia
allfincirca questa la situazione fra le due superpotenze USA e URSS? E questa
sorta di patologia planetaria a cosa potrebbe essere assimilata: ad un raptus
o alla lucida follia predeterminata? Charmet: Non
lo so. Verrebbe da chiedersi se quello che la coscienza collettiva ha potuto
sperimentare in termini di armi nucleari (Hiroshima, Nagasaki), non abbia in
qualche modo contribuito a questo vissuto per certi versi perverso nei
confronti dellfarma nucleare. Intanto, più è potente e quanta più ne abbiamo,
tanto più prepararsi alla guerra significa prepararsi alla pace, nella misura
in cui è stata contrabbandata lfidea che in fondo lfuso della bomba atomica
aveva accelerato la pace. Non ucciso duecentomila persone, ma salvato la vita
a milioni di persone. Quindi nasce una sorta di singolare collasso,
avvalorando lfidea che avere molte bombe atomiche significhi in realtà
salvare la patria. Avere ucciso centomila cittadini di Hiroshima, in fondo, è
stato un buon sacrificio perché ha permesso a milioni di soldati di salvare
la pelle. La lettura di questi eventi, così come sono stati tramandati
nellfOccidente, nella cultura di negazione maniacale della colpa, fino a
qualche tempo fa mi sembra che abbia finito per prevalere costringendo la
gente a non porsi in modo troppo forte il problema, ma accettando una prima
spiegazione manifesta: che lfequilibrio del terrore consentiva lo sviluppo
del commercio e delle arti. E siccome il dato sperimentale è proprio che per
quarantfanni, a forza di preparare bombe atomiche, ci siamo goduti una pace
relativa quantomeno in Europa e zone limitrofe, non mi sembra del tutto
semplice disimpastare i due elementi e vederli
secondo la filosofia che ispira la domanda. In realtà, nella percezione delle
masse, mi sembra che prevalga lfaltro dato: che sarebbe folle disarmarsi
rispetto alla eventualità che lfaltro, segretamente, continui ad armarsi e
poi essere le vittime dellfaggressività altrui. Malvagia:
Ma questa percezione è un dato arcaico, nel
senso che in effetti è vero che fino al secolo scorso le armi davano più
sicurezza contro la possibilità di un attacco. Adesso è matematicamente
dimostrato che più armi significa maggior pericolo, in quanto si innescano
maggiori possibilità di guerra per errore; e non sono fantasie, visto che le
due superpotenze, USA e URSS, arrivano a fare delle commissioni miste per
studiare come ridurre i rischi di guerra per errore. Quindi i rischi ci sono,
e lfequazione più armi uguale più sicurezza è un dato oggigiorno arcaico e
più armi significa più insicurezza. Non è ancora percepito, a livello
corrente. Charmet: Anche
qui mi sembra che quello che favorisce la crescita culturale e lfingresso del
simbolico – del bambino che sta per diventare adulto – è comunque sempre
lfesperienza. Qui purtroppo dobbiamo lavorare in assenza di esperienza
diretta, anzi rielaborando e disdicendo gli aspetti percettivi della realtà.
Siamo in pace, mai goduto di tanta pace in Europa come negli ultimi
quarantfanni sotto lfombrello nucleare, come fare a dimostrare il contrario?
Credo che sia unfequazione logica quella che dice: «lfequilibrio del terrore,
il terrore delle armi nucleari è sicuramente ciò che ha impedito di fare la
guerra». Generalmente, a livello di sviluppo individuale, uno la smette di usare un determinato meccanismo difensivo quando verifica che è anacronistico. I pazzi, i cosiddetti pazzi, sono coloro che invece procedono indisturbati, utilizzando meccanismi difensivi privi di adattamento reale che appartengono a una fase precedente, che precedentemente davano loro delle soddisfazioni e che invece nella fase successiva della loro vita sono assolutamente controproducenti. Non obbediscono allfadattamento. Indizi, peraltro, che ci sia questo processo di crescita e di presa di coscienza mi sembra che ci siano, le posizioni assunte a Reykjavik e nelle trattative successive significano qualche cosa, in fondo.
Psicoanalisi
e morte nucleare
Intervista a Gustavo Pietropolli Charmet (nota
in calce: Prof. G. Pietropolli Charmet,
psicoanalista, docente di psicologia dinamica presso l'Università Statale di
Milano) a
cura di VITTORIO AMODEO e
MARINA PALMIERI
Malvagia: Lei pensa che la psicoanalisi possa
affrontare la psicologia dei leaders: attraverso i
loro discorsi, scritti, capire quanto cfè di inconscio o di patologico nei
loro atteggiamenti? Charmet: Lo studio della personalità di Hitler ha
impegnato parecchi studiosi. Il contributo di Fornari1 a questo tipo di
indagine cambia completamente lo scenario perché, in sé per sé, il
ricostruire la biografia psicoanalitica e quindi il significato nevrotico,
psicotico, di Hitler nei suoi atteggiamenti, e quindi la distruttività
masochista della condotta che porta a morte tutta la nazione, non è che
spieghi un gran che. Rimane sempre da spiegare perché la gente prenda un
pazzo, lo mandi al potere e poi lo segua fino allfolocausto. Il contributo di
Fornari è illuminante sotto questo punto di vista
perché tende a leggere le stesse vicende in termini di valori, diciamo,
universali. Per esempio Hitler, Mussolini, Stalin: lfopinione di Fornari è che alla eccedenza di valori paterni,
caricaturali, monchi e ideologizzanti rappresentati da Hitler faccia seguito
una sorta di eclissi dei valori del padre nella nostra società contemporanea,
nella misura in cui finisce per prevalere una sorta di fobia nei confronti
dellfautorità paterna. La validità del suo contributo di studioso
è nellfimmaginare che appartenga allfanima della specie la possibilità di
individuare, in certi momenti storici, a seconda anche delle fasi di sviluppo
socio-economico, lfopportunità di mandare al potere lfuno o lfaltro, o
lfaltro ancora, dei personaggi della famiglia umana. Per esempio è possibile la spiegazione del
fenomeno per cui, dopo ogni rivoluzione, si assiste al ritorno del potere
abbattuto precedentemente, in forme a volta ancora più sadiche (rivoluzione
in Russia, in Cina ecc.). Consisterebbe nella necessità da parte della
famiglia umana di riparare, dopo la coalizione dei fratelli contro il padre o
contro la madre (madre Chiesa, o lfimperatore ecc.), di riparare il lutto
perpetrato in nome degli ideali di fraternità, restaurando in qualche modo
lfautorità paterna; però con unfenfasi particolare che consente il ritorno
sempre di Napoleoni, di Mao o degli altri. Ora, è questo movimento collettivo
che Fornari propone di tenere presente,
individuando sempre come fallimentare e improduttiva quella soluzione che
assolutizza il valore di un codice affettivo, quindi un personaggio della
famiglia umana rispetto agli altri. Per cui, se cfè troppo padre le cose di
sicuro non vanno bene (a meno che non ci siano delle situazioni particolari,
guerresche ecc., ove bisogna restaurare una leadership). La sua proposta
della buona famiglia in cui cfè padre, madre, figli e fratelli che in qualche
modo sono rappresentati in questa sorta di democratizzazione affettiva della
specie, è sicuramente la proposta vincente. Il problema è: come rendere in
qualche modo consapevoli le persone della necessità assoluta di instaurare
una buona famiglia anche nello Stato? Voglio dire che, più che la patologia
individuale, che non spiega perché la gente deleghi ad Hitler il comando, ha
pesato la necessità di uscire dalla rivalità dei fratelli della repubblica di
Weimar che comportava in qualche modo la messa in scatola del processo
decisionale: restaurandolo in nome del padre, ma in modo caricaturale ed
eccessivo pur avendo, sulle prime, il favore delle masse che lo vede
finalmente arrivare rispetto alle beghe tra fratelli. Malvagia:
Dallfambiente della psicoanalisi viene espressa preoccupazione per le
tensioni, i rischi mondiali, i rischi di catastrofe, oppure sono cose di cui
la psicoanalisi non si occupa, almeno a livello ufficiale? Charmet:
Bisogna distinguere, perché cfè il filone originario della ricerca
psicoanalitica che disegna il soggetto umano come abitato dallfistinto di
morte e quindi come una creatura che è troppo pericolosa se la si lascia
fare, perché lfistinto di morte tende a esprimersi in forme auto-etero
aggressive. Il disagio della civiltà disegnato da Freud indica una necessità
assoluta, perentoria, da parte della famiglia e dei sistemi educativi di contribuire
a fare intendere al bambino piccolo, perverso e polimorfo, impotente e
tendenzialmente distruttivo, la necessità di mettere sotto controllo sia gli
impulsi erotici che gli impulsi aggressivi, istituendo da un lato il tabù
dellfincesto, e dallfaltro il dover mettere da parte la natural
tendenza aggressiva in vista di vantaggi che si hanno con lo stabilire un
patto sociale. Disegna una teoria dellfinconscio che pone il soggetto come
sostanzialmente distruttivo, tanto da fornire una spiegazione del problema
della morte sulla base del desiderio, cioè su base pulsionale – in sostanza:
così come lfuomo desidera accoppiarsi, desidera anche morire, se cfè
lfistinto di vita è ipotizzabile anche lfistinto di morte. Abbiamo una
Società di psicoanalisi che ritiene sostanzialmente inevitabile il fenomeno
della guerra, perché apparterrebbe alla natura umana. Fortunatamente, nellfambito delle ricerche
psicoanalitiche sono emersi anche altri modi di leggere, che hanno
abbandonato la teoria delle pulsioni e che, per esempio con Fornari, istituiscono il soggetto come animale simbolico
e non come piccolo perverso polimorfo ma come una persona, un essere vivente
che ha in sé, come unica fondamentale pulsione, quella di simbolizzare gli
stati del mondo e la famiglia umana, e quindi più proteso a significare
piuttosto che a distruggere o ad accoppiarsi incestuosamente con i propri
genitori. È un altro disegno. È più a questo tipo di impostazione teorica che
si può far riferimento per chiedere un aiuto piuttosto che non a una psicoanalisi
che, in fondo, dice: gè lfanimo umano, cfè un impulso di morte, cfè una
tendenza distruttiva che deve essere esportata fuori dalla famiglia, sul
vicino di casa e quindi, in definitiva, nello Stato limitrofo, altrimenti
lfaggressività rifluisce sul soggetto o sulla famiglia; quindi bisogna
istituire lfaltra famiglia, quella dellfEst o quella dellfOvest, comunque una
famiglia cattiva, il regno del Maleh. Una teoria psicoanalitica di questo
genere legittima la situazione esistente, non legittima lfolocausto nucleare
anche se lfultimo Musatti sostiene che ci si
arriverà, perché il destino umano è questo: è lfistinto di morte, che è
ancora più difficile da esorcizzare dellfistinto di vita. Malvagia:
Oggi la tendenza distruttiva diventa auto-distruttiva perché la distruzione
del nemico comporta anche la distruzione propria. Una situazione nuova per
lfumanità, no? Charmet:
Dallfinterno del movimento psicoanalitico è nata la proposta per lfUniversità
della pace, un centro studi e ricerca a livello internazionale, centrato
sugli studi del conflitto umano. La psicoanalisi, in fondo, è una scienza
abbastanza centrata sullo studio del confltto:
quindi mi sembra con le carte in regola per dare un contributo importante
allo studio del confltto. In piccolo, il trattamento
psicoanalitico sottointende proprio questo:
riferirsi a un modello teorico che indica la possibilità di elaborare il
conflitto in termini pacifici. In fondo, una buona conclusione di un
trattamento psicoanalitico consiste nellfevitare che una persona sia troppo
divisa, sia troppo distruttiva, in modo da fare crescere le cose intorno a sé
in modo abbastanza armonioso. Lfuomo psicoanalitico è lfuomo che ha risolto
il conflitto. Malvagia:
Cosa pensa del fatto di indicare lfaltro come il Male, cioè di vedere lfaltro
come depositario di mali, mentre naturalmente noi stessi siamo i buoni, per
esclusione? Charmet:
Visto nei termini della teoria psicoanalitica classica il movimento paranoicale, con lfesportazione di tutte le nostre
cattiverie, degli elementi distruttivi e aggressivi sugli altri, è nella
nostra vita quotidiana. Il problema è se questo meccanismo è evitabile oppure
no. Secondo Fornari la necessità di esportare
lfaggressività su un altro sarebbe addirittura primaria nel senso che è
superabile soltanto bonificando lfaccoppiamento primario fra la madre e il
figlio, dove cfè molta aggressività perché il parto è un momento critico, e
la madre può vivere il bambino come qualcuno che lacera, la uccide, la fa
morire, la fa soffrire, e il bambino è verosimile che si senta travagliato.
Nasce unfaggressività allfinterno della famiglia, e il padre la può
deflettere allfesterno costituendosi come padre-guerriero che difende
lfhabitat naturale, e comincia a dire che gi vicini sono schifosi, che lo
Stato, le tasse, i capiufficio sono nemici.h Però ha anche la possibilità di ritornare
sulla scena della relazione facendo positivamente il padre col bambino e il
marito con la moglie, senza che lfaggressività di cui è stato investito
finisca tutta nel sociale, come premessa logica ai fenomeni di guerra. Cfè
quindi la possibilità di unfelaborazione anche lì dove cfè la paranoia e la malificazione dellfaltro. È sempre un meccanismo naturale
che avvia verso forme di risoluzione pacifica e di elaborazione del conflitto.
Quindi non è detto che, da un punto di vista teorico, faccia parte dei
meccanismi naturali di funzionamento della mente individuale e della mente
del collettivo quello di paranoicizzare lfaltro per
salvaguardare la propria bontà e il proprio spazio di accoppiamento. Malvagia:
Esiste, dunque, questa non estraneità della psicoanalisi rispetto agli
argomenti della pace e della guerra. Charmet:
In quanto scienza del conflitto, sicuramente la tocca molto da vicino.
Dipende dalla ideologia da cui è abitata la psicoanalisi. La ideologia
tradizionale è sicuramente parecchio pessimistica, perché lfaccumulazione
dellfistinto di morte sottintende la naturalità dellfevento guerra. E quindi
dice: gQuesti che fanno tutte queste bombe sono matti, o rappresentano unfespressione
naturale, aggiornata, tecnologica della cosa?h. Ma ogni scienza ha
sicuramente un tot di ideologia al proprio interno. Mi sembra che abbia più
prospettive uno sviluppo della teoria psicoanalitica che esce da questa
antinomia fra gli istinti, e che vede in sostanza la vita sociale come
lfespressione di un risicato equilibrio tra forze pulsionali e principio di
realtà. Se lfuomo è una specie di alieno che bisogna tenere a bada
organizzando una famiglia repressiva, una pedagogia repressiva, uno Stato
repressivo per tenere a bada gli istinti feroci dellfanimale uomo, allora la
guerra è un fenomeno inevitabile: meglio farla allfesterno con gli altri che
non averla in famiglia. Se invece si esce da questa antinomia e si entra nel
regno del simbolico dove si immagina che la mente sia abitata da una naturale
tendenza a simbolizzare il reale e a cercare forme di aggregazione in vista
della sopravvivenza, allora si vede la specie umana come abitata da un
patrimonio originario, proprio, da una prescrizione filogenetica che
prescrive la strada dellfadattamento e dellfincontro pacifico. Si immagina il
bambino come un animaletto, parecchio indifeso ma che è abitato da una
naturale tendenza a simbolizzare le figure fondamentali, quindi mettersi alla
ricerca della mamma, del papà e del fratello. Non per distruggerli, ma per
incontrarsi e sopravvivere: perché la sopravvivenza è legata al loro esserci
e allfaccordo pacifico nella famiglia umana. −−− (1) Franco Fornari, 1921-1985, psicoanalista, autore di numerosi studi
e pubblicazioni tra cui gLa malattia dellfEuropah.
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Gustavo Pietropolli Charmet,
a cura di VITTORIO AMODEO e MARINA PALMIERI >>> PARTE PRIMA £ === PARTE SECONDA £ |
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su MALVAGIA n. 26 +
PARTE SECONDA su MALVAGIA N. 27-28 |
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