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ARTE E LETTERATURA

 

____DALL’ARCHIVIO DI COMUNICARECOME____

 

Presentazione dedicata all’artista MARIO MARÉ

Teatro dell’Orologio di Roma

 

La figura, l’opera, la personalità artistica di Mario Maré.

Perché dedicare questo ciclo di presentazioni alla figura artistica di Mario Maré? La scelta non è stata casuale: la personalità di Maré può autenticamente considerarsi emblematica di un profondo connubio fra vita e arte, e il cammino che l’Artista ha infaticabilmente percorso durante la sua vita è stato e continua ad essere l’espressione concreta di una volontà conoscitiva ad ampio raggio. Una volontà corroborata e accompagnata dall’impegno quotidiano, una volontà sottoposta agli interrogativi e alla fatica della ricerca, ma anche una volontà cresciuta all’ombra di un carattere fondamentalmente schivo dai clamori della quotidianità che, pure, ben avrebbe potuto rappresentare un’ottima cassa di risonanza.

Dedicare quindi questo ciclo di incontri alla figura di Mario Maré rappresenta, oltre che una manifestazione di affetto e gratitudine in quell’ambito artistico-culturale romano che all’Artista era particolarmente caro, un atto di valorizzazione della multivalente personalità dell’Artista scomparso. Perché Mario Maré è stato, sì, nella sua vita principalmente un pittore, un pittore professionista, ma un pittore che si è via via cimentato con i più diversi registri espressivi estetico-filosofici e che, in questo suo continuo cammino espressivo, si è soffermato con efficacia e compiutezza anche nell’ambito della poesia e in quello del romanzo. L’intuizione del disegno di interrelazioni e intrecci fra i diversi campi dell’arte e la concezione, per l’appunto, dell’arte come discorso sempre aperto e soggetto alle infinite sollecitazioni dell’immaginario e delle pulsioni espressive sono state, nella vita di Mario Maré, un’intuizione e una concezione di tipo ‘forte’, in quanto concretamente agite ed esperite secondo una provvidenziale ottica di “stato in progress”.

Un ciclo come questo, quindi, che verterà di volta in volta sull’archeologia e sulla storia antica, sul romanzo e sulla poesia, non avrebbe potuto trovare migliore collocazione nella ‘casa’ simbolica di un’iniziativa dedicata alla poliedrica e articolata figura artistica di Mario Maré. Una figura che, ne siamo certi, con la sua presenza silenziosa ma quantomai vibrante e testimoniale accompagnerà con amore gli Autori e il pubblico che a questa iniziativa prenderanno parte.

Marina Palmieri

 

 

Mario Maré: note biografiche essenziali.

Mario Maré nacque a Firenze nel 1921. Trasferitosi a Milano, iniziò da giovanissimo lo studio della pittura presso la scuola di Augusto Colombo e contemporaneamente, per vivere, fece l’impiegato di banca finché, constatata l’incompatibilità delle due professioni, abbandonò l’impiego per dedicarsi completamente all’arte.

Nei primi anni della sua attività artistica prese parte a diverse importanti Mostre Collettive Nazionali.

Più tardi realizzò poche personali e, sempre per scelta, non partecipò a premi.

Sue opere figurano in collezioni private, chiese, ospedali, in Italia e all’estero (Dallas, Los Angeles, New Orleans, S. Paolo, Parigi).

 

MARIO MARÉ: LA TESTIMONIANZA DELLE SUE OPERE

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■ LA PITTURA

Per Mario Maré dipingere ha rappresentato la passione principale e la professione primaria. In una lettera indirizzata negli anni settanta al critico Marco Nicòri, l’Artista scrive di sé stesso: “...qualora un giorno mi accorgessi di essere incapace a progredire e rinnovarmi, forse smetterei di dipingere, ma sia chiaro che io credo, soprattutto, in un progresso pensato e ponderato, non troppo lento ma nemmeno ‘improvviso’. Le ‘subitanee’ sperimentazioni, le repentine e totali abiurazioni del passato significano, il più delle volte, mancanza di ‘retroterra’, improvvisazione, moda, chiamala pure come tu vuoi, ma mai arte, o, se la parola ti sembra troppo grossa, serietà di mestiere; il che, da troppo tempo, avviene in Italia e fuori…”. In queste parole è racchiuso, di Maré, tutto il suo costume di vita che, spesso e contro la sua stessa volontà, lo ha reso un isolato, fermo restando il rispetto e la stima suscitati anche in quanti non hanno condiviso le sue opinioni. Ha scritto di Maré il critico Domenico Cara: “...Coinvolge nella propria espressione poetica il duttile senso delle cose che è interesse alla realtà”, e Giuseppe Marrocchi: “Nelle figure (acquerello e olio) si riscopre il senso di una profonda indagine che affonda in una ricerca quasi al limite della drammaticità… è una potenza che si allarga vertiginosamente, quasi voglia esplodere dalla limitatezza di uno spazio che la imprigiona…”.

La pittura di Mario Maré si caratterizza fortemente anche per un accentuato “psichismo” artistico: in molti dei suoi quadri (esemplare, in questo senso, il dipinto ad olio “Caino e Abele” è rinvenibile un ribaltamento delle concezioni greche classiche della bellezza: la distorsione delle proporzioni diviene un atto volontario e la scelta di non soffermarsi pittoricamente su parametri naturalistici rappresenta la proiezione delle percezioni emotive e cerebrali dell’esistente. Così, nei quadri di Mario Maré, le proporzioni, le armonie, la bellezza stessa ci ricollegano alla percezione psichica dell’uomo e la sua pittura si fa proiezione di questa dinamica primaria dell’essere umano.

 

■ “L’ISTANTE”

“..Non credo sia possibile, con la pittura, esprimere interamente un sentimento, un pensiero filosofico, un’idea politica”: così Mario Maré si esprime in apertura di questo testo (Silvana Editoriale, 1982) che coglie la sua ultima pittura. Affermazione-cardine che ci conduce direttamente a un’altra ipotesi fondamentale formulata da Maré: “l’arte, nei limiti che le sono concessi, benché sia l’unica forza indistruttibile dell’uomo, deve di questi tempi produrre ipotesi per tendere o per tentare di tendere alla formazione di nuove coscienze per arrivare quindi a nuovi uomini”. Coerentemente con tali assunti, la scelta operata con “L’Istante” cadde sull’idea di rappresentare il tempo. Tempo, quindi, come istante, e istante come condizione di movimento e di divenire.

“Il concetto del tempo-istante di Maré è, più, fondamentalmente, il concetto bergsoniano di “durata”, - ha sottolineato il critico Carmelo Strano - “di quel punto minimale dell’esperienza che non è possibile fissare, cogliere, cristallizzare, solidificare con l’intelligenza o anche con l’espressione. È appunto lo spazio e il tempo che viviamo realmente e che trascorre immediatamente.” Come evolve in Maré questa esasperazione bergsoniana del concetto di tempo? Si risolve forse in un sentimento di fuggevolezza estrema, fine a sé stesso? Niente affatto: l’Istante diventa l’Indivisibile, e l’Indivisibile è un comportamento, un modo di esistere, è un attimo di esperienza che ha una sua unità, una sua unicità e una sua compiutezza. Per questa sua evoluzione concettuale, Mario Maré è stato efficacemente definito dal critico Pierre Restany come “il visionario del tempo”, ovvero come un artista sospinto da un forte “istinto progressista”, nel senso dinamico della parola, capace di assumere con sé stesso il dubbio e il senso profondo dell’”assurdo flusso”. Le opere di Maré presentate ne ”L’Istante” rappresentano esperienze maturate in lunghi anni di meditata ricerca. Partendo dal dispiegamento di una spazialità inedita e dalla raffigurazione ardita di equilibri precari legati al divenire del tempo, esse offrono al pubblico anche lo scatto di una serena compostezza e il senso di un’intensa aspirazione all’equilibrio. Da “Quell’orribile in dentro-in fuori che è lo spazio” a “I Solidi Platonici” e a “Un impegno per ogni istante” (queste e altre le sottotitolazioni del volume), il lettore viene introdotto - oltre che nel concetto filosofico dello spazio - in una precisa concezione di spazio pittorico e in una nuova prospettiva materica che,  sensibile alle sollecitazioni della tridimensionalità, è volta a favorire il tema della unitarietà dell’esperienza.

 

■ I QUADRI A SMALTO “GRAN FUOCO”

Quella dello smalto è un’antichissima tecnica artistica: attraverso, dapprima, la scuola di Limoges e l’esperienza dell’antica Russia e passando poi per l’era romantica di fine ‘800-inizio ‘900 questa tecnica ha raggiunto una grande diffusione negli anni Trenta. La febbrile ricerca tecnica che caratterizza l’arte del novecento ha condotto alla grande riscoperta di questo mezzo espressivo e, fra gli Italiani, Mario Maré ha rappresentato al meglio, anche grazie alla personale poetica esplicitata nel campo pittorico, la continuità ideale dell’arte nello smalto, con l’approdo a un inedito effetto pittorico moderno, tecnicamente molto avanzato ed estremamente innovativo. Quella usata da Maré negli smalti era e rimane una tecnica tutta particolare: egli lavorava alla stesura deponendo direttamente sulla lastra d’argento, con punte d’osso o minuscole spatole di ferro, la pasta vetrosa dello smalto, proprio come si fa - adoperando il pennello - con la pittura ad olio: operazione che presuppone una grande perizia non fosse altro che per la granulosità, simile a sabbia, dello smalto che rifiuta di essere steso o tirato. Oltre alle lastre d’argento, pure predilette da Maré sono state le lastre di rame. Predilezioni esteticamente complementari e speculari una rispetto all’altra, avendo il supporto dell’argento la facoltà di raffreddare i colori e di esaltarne certi effetti di algida purezza, e il supporto del rame, invece, la facoltà di rendere più caldi i colori e di esaltare l’intensità dei riflessi.

La produzione degli smalti a fuoco ha rappresentato la estrinsecazione della parte più cerebrale della personalità artistica di Maré, al confine fra l’astratto e il formale. Con essa l’Artista ha inteso dare al pubblico diversi esempi delle possibilità offerte da questa antichissima e magica arte che, ripresa e modificata nelle sue tecniche, è stata riproposta in chiave moderna. Ha scritto di Maré il critico Vittorio Beonio Brocchieri: “...Maré ha sempre sentito il richiamo di una cosa insolita: è stato affascinato da una tecnologia che richiede testa dura e accanita volontà. Qui sta il premio, ossia il miracolo: perché uscendo dall’inferno della vampa incandescente le molecole vetrificate del nuovo dipinto conserveranno quel fuoco e quella luce per i secoli, per i millenni, per decine di millenni, come le lave, i cristalli, le gemme.”

 

■ “GLI ULTIMI IDOLI”

Così venne definito l’orientamento estetico del periodo nel quale Mario Maré operò la rappresentazione col supporto dei più svariati materiali di rifiuto e di abbandono.

“Gli Ultimi Idoli” esprimono l’ansia - intellettuale e umana - circa il destino del mondo di fronte all’assurdità di talune sue scelte, di fronte alla cieca e irresponsabile combustione dei suoi equilibri ecologici, delle sue risorse più essenziali e irriproducibili. “Con una figurazione volutamente dura, artigianalmente oggettiva, scabra e insistita, Maré ci descrive” - sottolineò il critico Giorgio Seveso - “le sue visioni di un possibile futuro in cui, esaurita dalla nostra bramosia ogni residua forma di vita vegetale e animale, l’ultimo uomo costruirà sull’altare calcinato dell’orizzonte il tenero, sfuggente simulacro di ciò che era e che non potrà tornare.”

 

■ LA POESIA

“Arida è la mia mente / come una fonte secca / sulle cui pietre / il bianco sole acceca” (da “La mia libertà”); “Forse è finito il giorno / e il pioppo grigio, / solo nei campi piatti e silenziosi, / tocca il rosso tra due nubi nere” (da “Il rosso tra le nubi nere”). Questi alcuni dei passi racchiusi nel libro “Foglie gialle”: titolo programmatico, pur nella sua essenzialità. Programmatico di una capacità di registrazione visiva, di una predisposizione alla cattura ottica del reale. E, in effetti, tutti i componimenti di questa silloge poetica (edita nel 1972 da Rebellato, Padova) sono legati fra loro dal filo rosso di un tale approccio “pittorico-figurativo”. Come nell’olio e nello smalto, le parole vengono fissate in atmosfere di magia e fiaba, specie nella scaturigine della memoria d’infanzia; come negli acquerelli, certe immagini si stagliano a mo’ di quadri del più puro chiarismo, specie nella trasposizione di una tristezza e di un mondo quasi “senza colore”. Sul piano contenutistico, accentuata è la valenza del dolore, e ricorrente è il tema dell’abbandono, nel senso di un allontanamento e/o di un’assenza di tipo fisico ma anche e soprattutto di tipo morale. Senza peraltro forzare le tonalità più cupe e malinconiche dell’anima, Maré mette a fuoco il magma oscuro che agita i recessi più nascosti del proprio essere e, come chiamate a raccolta le forze, incide sulla carta l’immagine-chiave di un abbandono cosmico, che dai sommovimenti sordi di quel magma scaturisce, come: “Le case di Dio sono chiuse / e io non so pregare in questo buio, / da questo buio, ove nemmeno scorgo / l’altare delle stelle” (da “Strusciando lungo i muri”) e, illuminante nella sua incisività: “Madre, madre mia, / che angoscia la meraviglia del mondo.” (da “...Non so più abitarlo”).

 

■ IL ROMANZO

Il rapporto di Mario Maré con la narrativa non è stato certo casuale. Maré aveva scritto da sempre, per passione, per sé e per i lettori di note riviste d’arte e cultura. Nel romanzo “L’ottava a destra” il suo temperamento, polemico e bucolico, si manifestò in tutta la sua complessità. Questo romanzo (edito nel ‘77 da Il Sagittario Rosso) rappresenta l’epopea di un arcipelago immaginario dove l’evoluzione si dipana su due binari contrapposti e “l’ottava isola a destra” è quella anomala. ‘Speranziella’ è il nome dell’isola, e già questo nome - come del resto lo stesso titolo del romanzo - dà il senso dell’umorismo sottile sotteso nel testo, nonché il sapore della polemica arguta: nei confronti della strumentalizzazione ideologica, dell’ipocrisia, della repressione. Ma “L’ottava a destra” è sicuramente anche stato per l’Autore l’occasione per esprimere la propria compassione per i dolori di questa terra. Vi ritroviamo infatti espressioni, dialoghi e riflessioni di grande eloquenza sul dramma della condizione umana, come quello, ad esempio, sulla solitudine: “Perché la vera solitudine non è vera solitudine. La solitudine in mezzo al mare esalta, e non fa dolorare come la solitudine tra la folla..”; come, ancora, il senso del continuo divenire racchiuso in quello che l’Autore definisce “il principio di elasticità” e, non per ultima, l’importanza attribuita all’eredità spirituale trasmessa, con le parole, con la scrittura, con l’arte tutta, all’umanità.

“L’ottava a destra”, per queste ed altre suggestioni di forte pregnanza esistenziale e filosofica, può essere considerato un lungo esame di coscienza sulla storia dell’uomo, un grande affresco sull’umanità impastato, armoniosamente e omogeneamente, di dolce poesia e di umorismo, di sottile ironia e di tragedia.

Marina Palmieri

 

 

 

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